STORIELLE DI UN MEDICO EBREO di Victoria O. Acik Edizione

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STORIELLE DI UN MEDICO EBREO di Victoria O. Acik Edizione
STORIELLE DI UN MEDICO EBREO
di Victoria O. Acik
Edizione Lampi di stampa 2007, pp. 104, € 12,00
Ai medici piace scrivere, e scrivono bene: da Galeno, a Maimonide, a Browne, a Somerset
Maugham, ad Axel Munthe val sempre la pena di leggere quello che hanno da dirci. Il libretto di
Victoria Acik, grazioso e spiritoso fin dalla copertina che ritrae l’autrice sotto forma di ‘matrioska’
con una grossa borsa da medico, copertina disegnata dall’autrice stessa, che di disegni se ne intende
perché disegna gioielleria, non fa eccezione.
Victoria non è Maimonide, e i suoi insegnamenti non sono di quelli che sconvolgono il mondo,
ma le sue pagine sono piene di bonaria ironia, di buon senso e di umana simpatia. Dei suoi aneddoti
qualcuno colpisce veramente, come la storia dell’esperimento scolastico della professoressa che
voleva spiegare che cosa vuol dire il pregiudizio e disse “immaginatevi che si decidesse di
perseguitare quelli che hanno i capelli rossi” e la giovane Victoria, che vanta una fiammante chioma
rossa, si trovò ad esclamare “ma allora io ci sono sempre dentro!”
I raccontini di Victoria, più che storielle, sono considerazioni, fatterelli, battute. Le battute non
sono sempre folgoranti. Non aspettatevi un nuovo Moni Ovadia. Ma sono garbate e spesso originali.
Un’osservazione: l’autrice è nata a New York ma è cresciuta in Italia. Come mai le sue storielle
ebree sono tutte di stampa yiddish, nomi e tutto? Forse gli ebrei italiani non sono abbastanza buffi?
Eppure io ricordo una ricca e comica aneddotica giudaico-piemontese e ferrarese che circolava nella
mia famiglia. O forse l’ebraismo ashkenazita tende universalmente a soppiantare quello sefardita e
italiano? Del resto, anche il citato Moni Ovadia, di origini sefardite, ha dovuto inventarsi un’anima
ashkenazita per conquistarsi un pubblico e condurre le sue nobilissime battaglie. Comunque il
libretto della dottoressa Acik sprizza garbo, buon senso e umana simpatia. Leggerlo vuol dire
passare qualche momento in compagnia di un’amica simpatica, allegra e ottimista e con tutto ciò
igienicamente saggia.
ELEONORA HEGER VITA
FERRAMONTI DI TARSIA
di Mario Rende
Mursia, Milano 2009, pp. 296, € 19,00
È la storia, documentatissima, anzi fatta di documenti che vanno dal diario del generoso, saggio
e ‘giusto’ comandante del campo, Paolo Salvatore, al diario del sacerdote che si occupava dei
cattolici ‘ospitati’ nel campo e anche delle conversioni di molti ebrei, al rapporto del comando
inglese dopo la liberazione del campo.
Ferramonti non fu l’unico di questi campi di internamento per gli ebrei stranieri e altri ospiti non
graditi nei primi anni della Seconda guerra mondiale: Ve ne furono molti altri, e quasi tutti
lasciarono un buon ricordo nei loro forzati ospiti. Per esempio Campagna, dove fu internato fra gli
altri mio marito, il dottor Heger che ne ricordava la grande liberalità, e Vetralla, in provincia di
Viterbo, di cui parlava con gratitudine e nostalgia un vecchio ebreo polacco, zio di mio cognato che,
esule soddisfatto in Inghilterra, parecchi anni dopo se ne rammentava con divertimento e
commozione.
Non era l’unico, dunque, Ferramonti, ma fu il più grande e inoltre quello che ebbe la felice sorte
di essere molto presto, già nell’autunno del 1943, liberato dagli inglesi risparmiando così agli
internati gli orrori dell’occupazione nazista.
La figura del comandante del campo, umano,
intelligente e generoso e che riuscì a mantenersi così ‘pulito’ da poter riprendere pari pari la sua
carriera di funzionario nell’Italia democratica, merita di essere ricordata. Il libro susciterà molti
ricordi in coloro che ancora sopravvivono di quella generazione e molti “già, me lo diceva il babbo
il nonno, lo zio” nei discendenti degli internati, dei quali parecchi andarono direttamente in Israele.
Ma moltissimi sono rimasti in Italia, non più indesiderati immigranti né clandestini, ma italiani (e
che italiani!) a tutti gli effetti.
ELEONORA HEGER VITA

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