nostop n.67 - FILT CGIL Lombardia
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nostop n.67 - FILT CGIL Lombardia
COPERTINA 67 colore 7,0.QXD :Layout 1 20-09-2010 11:13 Pagina 1 Periodico FILT-CGIL Lombardia Numero 67 HISTORIC GRAND PRIX BERGAMO FILT-CGIL - ottobre 2010 Euro 2.00 E R I A Pagina 3 L 11:14 L 20-09-2010 A 7,0.QXD :Layout 1 G COPERTINA 67 colore M A R I O Pagina 1 M 13:36 O 20-09-2010 S nostop numero 67:nostop numero 61 2 3 Primo Piano Se Davide sconfigge Golia Tempo Presente Dopo i tagli della manovra economica, dove va il TPL? Diritti, la stagione delle scelte La funzione organizzativa, specchio del rinnovamento della FILT Il Bilancio sociale come strumento di cambiamento Trasporti in Valle D’Aosta In Linea 18 Nella grande distribuzione la dignità non è in vendita La legalità è un impegno di tutti Finalmente la stabilità per i lavoratori di Sacbo Spazio Aperto 23 Più spazi verdi e servizi per Milano Sul futuro di Milano incombe un Piano Urbanistico sbagliato e pericoloso Il sistema aeroportuale dopo la crisi La Tangenziale Est Esterna di Milano DHL costruisce l’eco hub Senza Frontiere Istanbul 2010 - Di scena la crisi economica Sguardi e Traguardi 31 33 Un passo altrove Femminista sarà lei La comunicazione pubblica attenta al genere - Il progetto MiComunico Il respiro dell’anima, prima condizione di libertà Verso una società egualitaria? Il buon governo di una città si misura anche dagli spazi delle donne Immagini Bergamo Historic Grand Prix 44 Il servizio fotografico è stato realizzato da Franco Mammana [email protected] nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:36 Pagina 2 Se Davide sconfigge Golia Primo piano P R I M O P I A N O di Nino Cortorillo, Segretario Generale Filt-Cgil Lombardia 2 Il 17 settembre sono stati firmati gli accordi che sanciscono e regolano le condizioni del rientro in servizio dei 62 lavoratori della cooperativa che lavora per Gs/Carrefour di Pieve Emanuele. Non sappiamo se nei prossimi giorni accadranno altri fatti, non prevedibili, che possano cambiare i contenuti degli accordi o renderli anche in parte non applicati. Resta il dato straordinario di una vertenza che ha contrapposto 62 lavoratori provenienti da quattro continenti, che svolgono lavori semplici, nascosti in uno dei tantissimi magazzini logistici che ricoprono i nostri territori, privi di una storia e di una tradizione sindacale ed estranei alle mitologie che riempiono, spesso in modo stucchevole, i dibattiti politico-sindacali, a consorzi e cooperative che agivano con appalti assegnati dal secondo gruppo mondiale nel campo della distribuzione. La Filt ha fatto propria una difesa di dignità delle persone, del ruolo e della stessa esistenza del sindacato, del rispetto delle regole e della legge. Una difesa assoluta di principi con la volontà, però, di renderli vivi attraverso l’esercizio della contrattazione ed il loro riconoscimento da parte dei consorzi e delle cooperative. Perché Davide ha sconfitto Golia? Per la determinazione dei 62 lavoratori, l’impegno della Filt e della Cgil ad ogni livello, la scelta di portare in Magistratura sia i licenziamenti sia l’attività antisindacale (e veder riconosciute le nostre ragioni). Ma, soprattutto, per esser riusciti, oltretutto durante una crisi che parla di migliaia di licenziamenti, a far diventare la vicenda un’ingiustizia nella quale molte altre persone potevano riconoscersi. Questo è avvenuto attaccando direttamente Carrefour, mettendo in contraddizione il suo ruolo, i suoi codici etici e quanto avveniva nei suoi impianti. Dicendo ai suoi clienti, i consumatori, che l’esistenza di 62 persone valeva meno del costo di un sacchetto di plastica della spesa. E attaccando il sistema degli appalti che, nella filiera delle attività e nella filiera di consorzi e cooperative, drena utili e lascia al lavoro la precarietà e la legge del più forte. Abbiamo aperto un’attenzione ad un mondo che nasconde migliaia di lavoratori ed un sistema di imprese, le cooperative, che andrebbe normato alla luce di quello che sono, e non di quello che si pensa siano. Lo abbiamo fatto studiando la vertenza, analizzando i soggetti in campo e scegliendo una strategia. La svolta è stata l’invenzione della spesa nei supermercati come acconto degli stipendi, le azioni pubbliche che tanto hanno coinvolto i media e hanno messo in crisi le controparti. La decisione di rendere esplicite le nostre ragioni contiene anche la consapevolezza che sono sostenibili. È stata la scelta di cercare solidarietà, non come un fatto ideologico, ma concreto, vissuto. Verso persone che non avevano lo stipendio da mesi e non potevano fare la spesa, stretti nella condizione di dover vendere l’auto per comprare le medicine, di vedersi pignorata la casa, di avere le finanziarie alle porte di casa. Abbiamo avuto modo di leggere la solidarietà calda e partecipata di tanti, tra cui quella della Diocesi di Milano e del Cardinale Tettamanzi. Che conosceva quanto avveniva, che sapeva cosa erano le cooperative, che chiedeva della condizione dei lavoratori, che offriva il suo intervento. La politica è stata l’unica assente. È inutile che, anche a sinistra, si parli di lavoro, se non si comprende cosa vivono le persone. Così il lavoro diventa un’astrazione, un indice economico, un numero iscritto dentro altri numeri. Dei tanti deputati o consiglieri, possibile che a nessuno, sottolineo nessuno, sia venuto in mente di andare a parlare con questi lavoratori? Di informarsi per capire? Di chiedere cosa possiamo fare? Di domandarsi quali proposte legislative potevano scaturire? La politica, così, viene meno al suo ruolo di comprensione dei fenomeni sociali. C’è una contraddizione insanabile tra affermare che nell’agenda del paese il governo nasconde la crisi e le conseguenze sul lavoro, ed essere poi distanti e senza conoscenza di quanto avviene nel vivo del lavoro. Salvo, poi, chiedere perché i lavoratori non votano a sinistra. Tutte le nostre iniziative hanno fanno parte di una scelta non casuale né estemporanea, ma di un’analisi precisa che innova gli strumenti classici dell’azione sindacale. Una creatività della non violenza. Davide non può sconfiggere Golia in campo aperto. Non può farlo in un corpo a corpo. Molte delle sconfitte di questi anni sono dovute all’incapacità del sindacato, ed anche della Cgil, di comprendere che, nel venir meno dei riferimenti solidaristici naturali, o di una concezione di classe, si doveva estendere fuori dalle mura delle fabbriche, ormai delocalizzate e integrate dalla produzione di servizi, il consenso verso altri lavoratori/cittadini. Consenso che è uno scambio di solidarietà tra diseguali che devono cercare nuove affinità. Per la Filt è il nocciolo della nostra idea di confederalità, che non attiene alla confederazione, ma ad un’idea che trasforma, e rilegge, il nostro agire dentro azioni e significati generali. Solo così si comprende come sia stato possibile che la Filt, il sindacato dei ferrovieri, dei tranvieri, del trasporto aereo, delle tante corporazioni, abbia messo al centro della sua politica, da tempo, la tutela dei lavoratori, italiani e nuovi italiani, che stanno nelle cooperative e nella filiera della produzione industriale e dei servizi. La Filt ha l’obbligo di riflettere su quanto avvenuto, su cosa abbiamo imparato. Noi non vogliamo gestire tante Pieve Emanuele. E non vogliamo che Davide diventi una mitologia. Davide ora vuole e deve tornare al lavoro in una condizione di serenità e normalità. Dimostrare che le esigenze di Carrefour e delle cooperative sono conciliabili con un lavoro fatto con dignità e nel rispetto dei contratti e delle leggi. Il nostro impegno, il nostro sentire profondamente la brutalità di quanto avveniva, era rivolto a permettere a queste persone di pensare al proprio lavoro ed alle proprie esistenze con speranza e fiducia. Pagina 3 Giuseppe Biesuz – A.D. Trenitalia-LeNORD Andrea Boitani - Docente Università Cattolica di Milano Elio Catania – Presidente ATM Milano Giorgio Dahò - Portavoce del Coordinamento dei Comitati Pendolari Lombardi Marco Piuri – A.D. Arriva Italia e Iberia, Direttore Generale Arriva Italia Gian Battista Scarfone - Presidente ASSTRA Lombardia e Direttore ATB Bergamo Nino Cortorillo – Segretario Generale Filt-Cgil Lombardia ꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴ La lunga fase della trasformazione del Trasporto Pubblico locale iniziata negli anni ’90 ha consentito, pur tra disomogeneità, contraddizioni e ritardi, di evitare la sua implosione attraverso l’individuazione di regole, risorse e obiettivi più chiari. Nonostante ciò, il settore è da anni in uno stato di equilibrio precario. La manovra economica del Governo, attraverso il taglio delle risorse agli Enti Locali, scarica su questi parte dell’onere della sostenibilità sociale del settore. Come pensa che ciò possa ricadere sulla mobilità collettiva nel nostro paese? BIESUZ - Secondo i nostri calcoli, i tagli al TPL per la sola Lombardia potranno arrivare nel 2011 a 300 milioni di euro, di cui 200 per il trasporto su gomma e i restanti 100 su quello ferroviario. Con queste cifre in ballo, si produrrebbero due scenari alternativi: il primo, vedrebbe una generale riduzione di circa un terzo – il 27% per l’esattezza - dei servizi prodotti nel 2010, con minor ricavi di 50 milioni di euro e una riduzione del personale di esercizio fino ad un quarto. Per mantenere inalterato il livello del servizio e quello occupazionale – ed ecco il secondo scenario – c’è la necessità di intervenire al rialzo sulle tariffe e di individuare meccanismi per attutire la riduzione della domanda. Entrambi gli scenari determinano degli impatti molto rilevanti, soprattutto alla luce del fatto che la leva degli aumenti delle tariffe sarebbe utilizzata per mantenere il servizio ai livelli attuali a copertura dei minori contributi pubblici. Un intervento organico dovrebbe, invece, prevedere un percorso di progressivo autofinanziamento del settore, di cui la leva tariffaria è sicuramente uno dei pilastri fondamentali, sia per sostenere il sistema, sia per introdurre elementi di differenziazione della tariffa affinché questa, finalmente, possa introdurre fattori di socialità. Penso, ad esempio, a politiche di sostegno sociale e relativi criteri di accesso agli sconti per fasce di reddito, quoziente familiare, specifiche categorie deboli. BOITANI - Molte responsabilità hanno gli Enti Locali, che avrebbero dovuto cercare di accelerare il processo di trasformazione del settore, che la liberalizzazione prevista con i D.Lgs 492/97 e 400/99 voleva raggiungere. Con più concorrenza tra imprese capaci di operare sul mercato internazionale si sarebbero ridotti i costi e oggi si sarebbe stati in grado di fronteggiare i tagli del Governo senza i traumi che, invece, sono purtroppo prevedibili. Non va dimenticato che il costo per vettura-chilometro nel Tpl italiano è più alto che nei paesi europei con cui amiamo confrontarci, mentre il ricavo è più basso. Questa situazione non è colpa del Governo, ma dei Comuni, delle Province e delle Regioni, che hanno sempre cercato di allontanare “l’amaro calice” della concorrenza o - dove lo hanno bevuto – avevano provveduto ad annacquarlo preventivamente così tanto da renderlo innocuo. Ora non resta che accelerare il processo il più possibile, per evitare che i tagli governativi abbiano un impatto devastante sui cittadini. Non c’è altra strada che aumentare i ricavi da traffico - rivedendo le tariffe verso l’alto - e soprattutto ridurre i costi, facendo efficienza. Sulle tariffe, mi permetto di rilevare l’irrazionalità di chi rifiuta ostinatamente qualsiasi aumento nel Tpl e non fiata sugli aumenti che automaticamente sono applicati per l’energia elettrica e il gas. Non è che quelli energetici siano servizi con minore contenuto sociale dei trasporti! E poi il citato D.Lgs. 492/97 prevedeva l’applicazione del price cap anche alle tariffe del Tpl. Quale ente locale ha rispettato la legge? Forse il 100% degli Enti Locali italiani è fuori legge, sotto questo profilo… P R E S E N T E Dove va il TPL? R A L TO O Dopo i tagli della manovra economica Tempo presente T E M P O 13:36 VO A T 20-09-2010 DA N nostop numero 67:nostop numero 61 3 nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:36 Pagina 4 T E M P O P R E S E N T E Tempo presente 4 CATANIA - Il processo di sviluppo che c’è stato nel settore è stato indubbiamente positivo ma non è stato sistematico e ha lasciato alcuni punti di debolezza: la frammentarietà del sistema, la sottocapitalizzazione delle società, la difficoltà della programmazione degli investimenti sul lungo periodo, l’incertezza dei contributi pubblici. È un peccato perché il trasporto pubblico locale rappresenta sempre di più un elemento strategico per la qualità della vita – soprattutto nelle grandi città – ma anche per l’economia e la competitività del Paese. Nonostante questi limiti ancora presenti, è stato dimostrato come una corretta gestione possa dare, anche in questo settore, risultati positivi ed anticiclici rispetto alla congiuntura economica nazionale ed internazionale. L’Atm, credo sia un buon esempio. Il piano di ammodernamento e razionalizzazione, impostato su trasparenza, innovazione, impegno, condivisione dei risultati con le forze del lavoro, ha visto lo sforzo non solo dell’azienda ma anche dell’azionista – che è tornato ad investire dopo molti anni – e del sindacato, che ha sostenuto l’impostazione nuova. Ciò ha portato ad un circuito virtuoso che ha visto aumentare gli investimenti, l’occupazione, il servizio ed il riconoscimento al lavoro e alla professionalità. Con questi presupposti è evidente che, ancora di più in questo momento, bloccare questo sviluppo sarebbe un errore perché vorrebbe dire arrestare, o quantomeno rallentare, lo sviluppo di un settore strategico proprio in un momento in cui c’è maggior bisogno di puntare sulla mobilità collettiva e di creare poli che siano motore e traino per la ripresa economica del Paese. DAHO’ - Gli Enti Locali, dopo anni di tagli ai trasferimenti statali, oggi non hanno più disponibilità di risorse residue e quindi diviene inevitabile una diminuzione di servizi ai cittadini e, di conseguenza, di quelli di mobilità collettiva. Ciò provocherà, inevitabilmente, un aumento dei costi sociali dovuti all’aumento della congestione stradale, dell’inquinamento e dell’incidentalità. Inoltre, nei piccoli e medi comuni, che non possono permettersi di mantenere figure tecniche specialistiche, con i tagli di risorse per studi e consulenze viene, di fatto, impedita la possibilità di effettuare studi trasportistici con la finalità di efficientare la rete del trasporto pubblico e migliorare la mobilità urbana. PIURI - Come ha correttamente osservato, il processo di riforma del TPL avviato negli anni ’90 è segnato da numerose contraddizioni, ritardi, disomogeneità. In realtà, a mio parere, bisogna constatare che la riforma è in parte fallita ed in questa fase si rischia addirittura un pesante riflusso. Certo, il sistema nel suo complesso è divenuto più trasparente, la trasformazione delle aziende speciali in società di capitali ha aiutato, i principi guida della legge 422 hanno identificato un percorso virtuoso di sviluppo. Ma questi principi guida non si sono declinati in una chiara politica industriale per il settore e la demagogia politica che domina il TPL ha impedito in questi 15 anni una chiara assunzione di responsabilità da parte di tutti gli attori, ciascuno per la propria competenza. La manovra del governo, e per la verità più ancora le dichiarazioni dei governi regionali di voler tagliare le risorse per il TPL – sanità ed altre attività “istituzionali” chissà perché sono considerate intoccabili, cioè “traduco io”, non interessate da spre- chi e quindi da possibili efficientamenti – investono il settore in una fase già di per sé critica. Intanto, io vorrei contestare il fatto che non si distingua tra spese essenziali e non essenziali, e si considerino risorse con natura di corrispettivo per un servizio alla stessa stregua di altre spese. Come finirà? Come troppo spesso accade nel nostro paese, purtroppo: solo in condizioni di emergenza si prendono finalmente decisioni che un atteggiamento più responsabile dei regolatori avrebbe dovuto far assumere nel passato. La determinazione dei servizi minimi essenziali, la revisione delle reti, il concetto di costo standard, un percorso di liberalizzazione finalizzato a far cessare le rendite di posizione. Di questo stiamo parlando, cioè di quanto già chiaramente previsto nella legge 422. Solo che ora abbiamo – pare – sei mesi per realizzare quanto avremmo dovuto fare negli ultimi 15 anni… E la cosa paradossale è che più di uno identifichi in una ulteriore “pubblicizzazione” del sistema – vedi il caso Piemonte – la soluzione. Detto in altre parole “che ci pensi la fiscalità generale”. SCARFONE - Quando la condizione di equilibrio precario si protrae per molto tempo - come è stata la situazione del trasporto pubblico locale (e, più in generale della mobilità) nel nostro Paese - si genera uno stato che definirei di immobilismo (se non di regressione). Una situazione di immobilismo che ha dominato l’ultimo decennio e, fatta salva qualche parziale esperienza e qualche segnale positivo, ha via via depotenziato obiettivi e strategie di riforma ed innovazione del settore che sembravano, alla fine degli anni ‘90, attraversare orizzontalmente tutti i soggetti in gioco, aprendo nei diversi campi della rappresentanza (politica, imprese, sindacati, consumatori, opinione pubblica) dialettiche contrapposizioni fra “conservatori” ed “innovatori”. Hanno prevalso logiche e comportamenti tendenzialmente “autoreferenziali”, con una scarsa disponibilità al cambiamento. Il processo di riforma avviato con la legge 422 non si è completato; solo in poche realtà regionali si è proceduto all’affidamento dei servizi mediante gare. Non ha preso forma un disegno strategico di riforma complessiva del settore che affrontasse non solo i temi della liberalizzazione ma anche obiettivi e politiche di sostegno allo sviluppo della mobilità collettiva, così come era avvenuto e/o era in corso in altri Paesi europei, sulla base dei contenuti dei vari “libri verdi” e direttive emanate dalla Comunità Europea. Non ha preso forma alcuna politica industriale per il settore nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:36 Pagina 5 Tempo presente che favorisse almeno l’aggregazione delle aziende, promuovendo la formazione di gruppi di dimensioni adeguate nel contesto nazionale. Processi di integrazione e aggregazione ostacolati da logiche di sopravvivenza di aziende pubbliche (ex municipalizzate e regionali) direttamente collegate con Enti istituzionali a cui sono state affidate funzioni di regolazione del settore. In sintesi, il tema del Tpl (e più in generale della mobilità) non è mai stato seriamente nell’agenda delle riforme possibili di questo Paese (d’altra parte non è la sola questione nazionale ad aver subito la medesima sorte). In questo contesto la manovra economica, con la conseguente riduzione delle risorse, rischia di essere la vera riforma del settore, “responsabilizzando” in modo draconiano regioni ed enti locali. Nelle scorse settimane abbiamo messo a punto alcune ipotesi di impatti possibili: riduzione delle percorrenze chilometriche; considerevole riduzione del numero dei passeggeri trasportati; consistenti riduzioni del personale. Inoltre, si profila una drastica caduta degli investimenti nel settore in tutti i comparti industriali interessati (dalla produzione di autobus alle tecnologie innovative). Infine, i livelli di congestione delle nostre città sono destinati ad aumentare con incremento dell’inquinamento da traffico e peggioramento della salute e della qualità ambientale. Improbabili rischiano di essere alcuni obiettivi come quelli del pacchetto clima-energia volto a conseguire gli obiettivi che l’UE si è fissata per il 2020: ridurre del 20% le emissioni di gas a effetto serra, portare al 20% il risparmio energetico e aumentare al 20% il consumo di fonti rinnovabili. Analogamente, di scarsa entità sarà l’apporto del nostro Paese alla strategia lanciata dall’UITP (Unione Internazionale dei Trasporti Pubblici) finalizzata a raddoppiare la quota di mercato dei trasporti pubblici a livello mondiale entro il 2025. CORTORILLO - Nessun paese in Europa, pur con tagli più consistenti al proprio bilancio, ha deciso di tagliare il trasporto pubblico. Scelta che in Europa non ha fatto né la destra né la sinistra. La logica del governo italiano è quella che lo ha guidato in questi anni: prima i tagli ad un settore, dopo una controriforma. L’inverso di quanto avvenuto negli anni ’90, quando si riformò il settore riducendo i costi ed il declino. Si aggiunga che si tagliano risorse già insufficienti che fanno parte di competenze e bilanci degli enti locali. Una sorta di fuoco amico. Un giorno si teorizza l’intervento dello stato sulle banche e sull’economia, un altro ci si dichiara liberisti e si prendono a modello società con salari, diritti e welfare non paragonabili. Si accentua una dinamica recessiva che, anziché agire sui motori possibili di sviluppo (investimenti sul parco mezzi e materiale rotabile con ritorni anche per l’industria nazionale), aumenterà l’uso del trasporto privato e la dipendenza energetica dall’estero. Una sperimentazione priva di un progetto organico, tanto da chiedersi se si è voluto tagliare proprio il Tpl o si è pensato di scaricarne la sostenibilità sugli enti locali. È evidente a tutti gli operatori del settore che l’entità dei tagli produrrà una crisi dell’intero sistema del trasporto pubblico e dell’intera filiera che va dall’erogazione del servizio, alla stessa produzione industriale, coinvolgendo realtà produttive più estese di quelle dei trasporti. Si taglia la seconda voce dei bilanci regionali proprio mentre si discute di federalismo, costi standard e nuovo equilibrio fiscale tra centro e autonomie locali. La stessa Lega ha ingoiato i tagli preferendo puntare al federalismo dell’avvenire. Ciò che dispiace è che altri sindacati confederali siano stati silenziosi di fronte a queste decisioni, come se fossero essenziali e senza alternative. ꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴ Il “Patto per il Tpl” è stato il tentativo in Lombardia di mettere a sistema obiettivi, regole e risorse, dando elementi certi di stabilità e chiedendo a tutti gli attori (istituzioni, imprese, sindacati, associazioni dei consumatori e dei pendolari) di condividerne la strategia e di svolgere un ruolo positivo. I tagli massimi che la Regione ha previsto (314 Mln € nel 2011 e 296 nel 2012) non fanno venire meno i fondamenti del Patto, non solo nella certezza di quante risorse, ma di molti degli obiettivi ad esse legate? BIESUZ - No, perché Regione Lombardia, attraverso le linee guida della riforma del Tpl contenute nel Patto, aveva già avviato un percorso di efficientamento del settore, anticipando quelli che sarebbero stati gli impatti della manovra. Certo è che i tagli cambiano lo scenario delle risorse e implicano che tutti gli attori si adoperino per avviare iniziative relative alle tariffe e all’efficientamento di reti e servizi. 5 nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:36 Pagina 6 Tempo presente BOITANI - È chiaro che la certezza delle risorse è fondamentale per la gestione efficace di un sistema basato su contratti di servizio e gare periodiche per l’affidamento. È altrettanto chiaro che, se la Regione decide di rispondere ai tagli governativi riducendo le risorse per il Tpl, sta compiendo una scelta allocativa precisa, che richiede un cambiamento complessivo della strategia politica per questo settore. Ma credo che, con costi e ricavi francesi o tedeschi, le ridotte risorse pubbliche sarebbero ancora sufficienti a garantire almeno lo stesso livello di servizi che in Lombardia c’è stato fino ad oggi nel trasporto urbano e uno anche più elevato (sotto il profilo sia qualitativo che quantitativo) nel trasporto extraurbano ferroviario. T E M P O P R E S E N T E CATANIA - L’entità della ricaduta della 6 manovra sul trasporto pubblico non è ancora nota. In ogni caso, indipendentemente dall’ammontare dei tagli, il Patto non è indebolito nei suoi presupposti ma nel livello e nella qualità degli obiettivi che si era posto. Proprio in questo frangente il Patto per il Tpl diventa, invece, uno strumento fondamentale per potere individuare, con precisione chirurgica, i punti dove far cadere i tagli per non danneggiare lo sviluppo intrapreso e per dare, nel modo migliore, una risposta coerente alle richieste di mobilità delle persone. DAHO’ - In assenza di una ferma volontà del Governo regionale di salvaguardare in ogni modo il livello di domanda servito dal trasporto pubblico, l’ovvia conseguenza (che allo stato attuale risulta anche l’unica ipotesi allo studio) è una doppia e pesante manovra, sia tariffaria sia di taglio ai servizi, mentre il Patto prevede che gli adeguamenti tariffari siano legati ad incrementi della qualità e della quantità dei servizi. Considerato che qualità e quantità non sono variabili tra loro indipendenti, viene quindi a mancare quell’obiettivo sostanziale di “miglioramento della qualità dei servizi” attorno al quale è stato costruito l’intero Patto. Inoltre, tra gli obiettivi fondamentali del Patto vi è quello del trasferimento modale dal mezzo privato al mezzo pubblico, il cui raggiungimento diventerà estremamente arduo. Non solo i risultati attesi dalla Riforma del Tpl, fondata sul Patto, consistenti nell’incremento della domanda del 30% nell’area suburbana e del 20% a livello regionale, diventano utopici, ma si verificherà il contrario. Da non sottovalutare, infine, che risulta anche difficile scongiurare quel “pericolo di una crisi strutturale del sistema” su cui si è fondato il Patto e dovuto al crescente squilibrio tra costi e ricavi stimato per i prossimi anni dalla Regione indipendentemente da questa manovra. Complessivamente e, ripeto, in assenza di una ferma volontà di mantenere il livello della domanda servita a partire dalla conferma della priorità del trasporto pubblico sul trasporto privato e su cui fondare il reperimento di nuove risorse, viene di fatto a decadere l’intera incastellatura su cui si fonda il Patto. PIURI - Abbiamo sostenuto convintamente il “Patto per il Tpl”, perché crediamo che il primo obiettivo di chi “fa impresa” sia quello di avere regole certe e chiare per il futuro. Per la verità, la versione del “patto” approvata portava già i segni di un compromesso al ribasso rispetto agli intendimenti iniziali. E la Regione, diciamo così, non ha brillato per quanto riguarda il rispetto degli impegni. Certo che ora, se l’entità dei tagli per il settore è quella da Lei citata, il problema non è il venir meno dei fondamenti del “patto”, ma il venir meno del servizio e quindi del settore del Tpl nel suo insieme. Nessun settore è in condizione di sopportare un taglio del 30% dei corrispettivi senza doversi pesantemente ristrutturare con inevitabili, significative conseguenze di natura sociale. Con tagli di 300 milioni di euro per anno, il “patto” non esiste più. La domanda è se esista ancora il settore. SCARFONE - Un impatto nei termini mas- simi come quello paventato nelle scorse settimane per la nostra Regione frantuma gli sforzi fin qui compiuti di definire un quadro di cambiamento e di innovazione (risorse e regole) e che aveva trovato nei contenuti del “Patto” un primo significativo risultato condiviso da tutti gli attori. nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:36 Pagina 7 Tempo presente Le iniziative messe in atto sino ad oggi dalla Regione Lombardia, dagli Enti locali e dalle aziende di trasporto pubblico del territorio per migliorare l’offerta di trasporto e la qualità del servizio, sarebbero così mortificate da un’insostenibile riduzione dei servizi. Un passo indietro che ci allontana dal panorama europeo di sviluppo della mobilità collettiva al quale il nostro sistema regionale ha tentato di agganciarsi in questi anni. Anche le ipotesi messe a punto nei mesi scorsi di riforma e di innovazione degli strumenti di “governance” di questo fondamentale settore, con un ampio consenso fra Regione, Comuni e Province, Organizzazioni delle imprese pubbliche e private, Sindacati e rappresentanze dei Consumatori, rischiano di essere travolte dal taglio delle risorse. Cambia radicalmente l’agenda per tutti i soggetti: non più ipotesi di miglioramento quantitativo e qualitativo dei servizi, di innovazione delle tecnologie, di integrazione ferrogomma sulla base di bacini di più ampia dimensione, di evoluzione del sistema delle imprese in progetti/processi di integrazione, ma rischio di contenziosi legali in presenza di contratti di servizio sottoscritti nel tempo che non prevedono possibilità di riduzioni radicali delle risorse per i corrispettivi, peggioramento della qualità dei servizi, esuberi strutturali in un settore che non dispone di ammortizzatori sociali, tensioni fra cittadini ed Enti Locali, tra imprese e organizzazioni sindacali in una preoccupante spirale negativa. In altri termini, il settore sembra destinato ad avviarsi ad una fase di crisi nella quale, pur con il senso di responsabilità che caratterizza tutti gli attori coinvolti, non si intravede alcuna “opportunità” ma uno scenario decisamente peggiore di quello degli ultimi anni, che pur aveva registrato segni di miglioramento e di “europeizzazione”. Non solo i contenuti, gli obiettivi del “Patto” rischiano di essere frantumati dagli effetti concreti derivanti dalla riduzione delle risorse, ma anche quello che potremmo definire lo “spirito” del patto rischia di sciogliersi come neve al sole. CORTORILLO - La Lombardia, sin dagli anni ’90, è stata una delle regioni che più ha tentato di tenere insieme risorse, regole del mercato, programmazione e servizio. Non sempre abbiamo condiviso le scelte compiute, ma va riconosciuto che il Patto per il Tpl del 2008 è stato un tentativo importante di governo del settore tenendo in equilibrio interessi diversi. Quel Patto era un progetto per il futuro. Un trasporto finanziato per circa il 60% da risorse pubbliche può prevedere un suo futuro esclusivamente se queste sono stabili e certe nel lungo periodo. Oggi siamo in piena emergenza, in larga parte ancora sottovalutata dalla politica. Tanto che, ad oggi, risultano non chiariti gli importi dei tagli nel 2011 e nel 2012. Non sarà possibile proseguire nel processo di riforma derivato dal Patto o porsi obiettivi di qualità. Si tratterà, al contrario, di riscrivere gli obiettivi e le regole del Patto. Solo dopo saranno chiare le nuove condizioni. ꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴ Ad oggi non si conoscono le esatte ricadute, in valore assoluto e nella ripartizione tra ferro e gomma e tra urbano ed extraurbano, dei tagli in Lombardia. Questo in presenza di Contratti di Servizio già definiti e/o gare per l’affidamento dei servizi già previste. Esiste un livello di sostenibilità economica e sociale oltre la quale il sistema rischia o l’implosione o una trasformazione non governata? BIESUZ - Regione Lombardia, in particolare da questa legislatura, ha premuto sull’acceleratore della riforma del sistema, prima di questa manovra. Quello che ci si attende da questa nuova impostazione di riforma è che si possano raccordare maggiormente le reti di trasporto, razionalizzare i sistemi di offerta, rafforzare la cooperazione tra gli attori, bilanciare maggiormente le fonti di ricavo e ottimizzare la contribuzione pubblica. Da 22 bacini di traffico si passerà a 7 bacini. Saranno superate in questo modo le antiche distinzioni tra bacini urbani ed extraurbani, si eviteranno le sovrapposizioni tra le reti e sarà possibile arrivare ad un’integrazione tra le diverse modalità di trasporto e dei sistemi tariffari, con la rete ferroviaria gestita a livello regionale a fare da dorsale del sistema. Il nostro settore deve evolvere verso l’autonomia economica, in cui il peso del contributo pubblico si riduca rispetto a quello dei ricavi da traffico. Solo in questo modo potremo essere in grado di raggiungere gli obiettivi di qualità, integrazione, razionalizzazione, informazione e comunicazione dichiarati nel Patto. BOITANI - Certo, se si considerano assolutamente rigidi i costi e i ricavi, la soglia dell’implosione si raggiunge molto presto! Ma continuo a ritenere che sarebbe un grave errore considerare costi e ricavi come assolutamente immodificabili. Il problema è il profilo temporale che la riduzione dei costi e l’aumento dei ricavi può ragionevolmente assumere. Su questo bisogna che lavorino insieme le aziende, i sindacati, la politica regionale e locale: un bel tema su cui fare un patto. CATANIA - Il rischio esiste ed è forte. La sostenibilità di questi tagli rappresenta un elemento chiave, perché molte imprese sono già al limite di questa soglia. Ma c’è anche il rischio che tagli mal gestiti si traducano, poi, attraverso un percorso non sempre trasparente, in una riduzione della qualità del servizio offerto ai cittadini. Credo, quindi, che la soluzione da ricercare sia quella di aumentare l’efficienza del sistema, di ragionare in un’ottica di mobilità integrata a livello regionale che tenga conto delle reali esigenze di mobilità e che 7 nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:36 Pagina 8 Tempo presente T E M P O P R E S E N T E possa trarre beneficio dalle sinergie, eliminare gli sprechi e concentrare le risorse dove sono meglio gestite. 8 DAHO’ - Come abbiamo visto, è impensabile ipotizzare una manovra che agisca solo sulle tariffe sperando di poter mantenere invariato il livello di servizio, semplicemente perché avremmo in giro molti mezzi semivuoti per la conseguente diminuzione di utenza, e quindi è giocoforza anche effettuare dei tagli ai servizi, i quali innescherebbero un’ulteriore contrazione dell’utenza. Nelle Aziende, in cui molti costi sono incomprimibili, sarebbe ancora più difficile far quadrare i bilanci, e già oggi ve ne sono alcune, anche importanti, il cui equilibrio economico è già estremamente precario e che, soccombendo, farebbero in breve venire a mancare i servizi essenziali di trasporto pubblico in ampie porzioni di territorio e di città. Tutto ciò fa supporre che il livello di sostenibilità, se esiste, sia estremamente ridotto, e non certo pari all’entità dei tagli. Ritengo pertanto assolutamente necessario trovare delle risorse che non derivino dai normali meccanismi di contribuzione del Tpl, e ciò può avvenire solamente considerando il sistema della mobilità nel suo complesso, e non limitatamente al trasporto pubblico. PIURI - Generalmente in questi casi non aiuta. In termini generali, 300 milioni per anno di riduzione dei corrispettivi significa dichiarare che non esiste più il servizio di TPL. Almeno un servizio così come regioni ed enti locali fino a oggi hanno dichiarato dovesse essere: integrato, multimodale, con innovazioni tecnologiche significative, con orari cadenzati garantendo connessioni e modalità per tutte le aree del territorio. Sempre in modo piuttosto grossolano, e discutibile, si può azzardare che un taglio del 5, massimo del 10%, può essere gestito cercando di limitare gli impatti sul servizio e sui lavoratori. Ma anche in questo caso occorre essere selettivi: il ferro non è uguale alla gomma, per esempio. Costo di produzione dei servizi ferroviari e la loro strutturale rigidità impongono una selezione responsabile dei servizi essenziali. Così come il trasporto urbano è una cosa e l’extraurbano un’altra. Esemplificando: un cambio di frequenza da 3 minuti a 6 nell’urbano non modifica sostanzialmente il servizio. Una corsa extraurbana con cadenza oraria se portata a 2 ore, di fatto, fa scomparire il servizio. In sintesi: occorre pensare ed agire in termini selettivi, ripensando le reti ma anche un taglio del 5-10% non potrà non avere un impatto sui lavoratori. Il Tpl è un servizio tarato sulle punte, se non si toccano queste i costi delle aziende rimangono immutati anche a fronte di tagli di servizi. Ed il costo più significativo è quello del lavoro, dal 50 al 60% dei costi totali. SCARFONE - Individuare una soglia di sostenibilità economica e sociale della riduzione di risorse è alquanto problematico in un contesto nel quale era stata evidenziata, proprio nell’ambito del “Patto” e prima della manovra economica, una inadeguata disponibilità di risorse. Ad oggi non è nota, dopo il primo incontro del 30 luglio, la misura effettiva della riduzione delle risorse e quali provvedimenti la Regione intenda assumere, in sede di politica di bilancio, per contenere i presunti effetti della riduzione. Si profila un ancor generico mix di azioni (oggetto di primi confronti con la Regione): tagli non “lineari”; incrementi delle tariffe e degli introiti tariffari; provvedimenti di competenza degli Enti Locali in materia di viabilità e mobilità; efficientamento delle imprese e maggior produttività del fattore lavoro. Per non incorrere in frettolose semplificazioni, è necessario procedere con adeguate analisi tecniche su tre nodi fondamentali: 쮿 “livelli di servizio” ovvero quali sono i servizi “minimi” sostenibili nei vari contesti in relazione ad alcuni parametri essenziali socio-demografici e di mobilità; 쮿 “costi standard” ovvero la necessità di (ri) definire i costi standard non solo per modi (ferroviario, metro, tram, bus) ma anche per tipologia di servizio (urbanosuburbano, extraurbano); 쮿 la “integrazione” (modale, di servizi, tariffaria) che, se affrontata in modo corretto, può anticipare alcuni obiettivi individuati dal “Patto” ed evitare il rischio di sostenere e finanziare servizi a scarsa efficienza e/o a ridotta efficacia in nome di una presunta esigenza di “non linearità” dei tagli. Analogamente è indispensabile individuare le modalità ed i percorsi sulla base dei quali sia possibile azionare le diverse leve della razionalizzazione in uno scenario dove buona parte dei contratti di servizio attivati nella nostra regione, nella prima parte del decennio, sono in esaurimento sulla base di ambiti di bacino ritenuti eccessivamente frammentati e che, rebus sic stantibus, rischiano di essere i medesimi anche dal 2011 in avanti e con competenze “separate” fra Comuni capoluoghi e Amministrazioni Provinciali. CORTORILLO - Se le cifre dei tagli saranno, anche in parte, confermate, sarà l’implosione del sistema. Ipotizzare, infatti, che si possa risparmiare il 25% dando lo stesso servizio significa che per anni abbiamo tutti, ma proprio tutti, bluffato. Il Tpl aveva trovato un suo equilibrio complessivo nel corso degli ultimi 20 anni, pur se insoddisfacente sul versante della qualità e dell’estensione dei servizi. Una riduzione drastica significherà non solo far saltare i bilanci aziendali, ma far venir meno la stessa natura di pubblico servizio. Le conseguenze agiranno su imprese a capitale pubblico e privato senza distinzioni. Quale scenario di mercato e di gare sarà possibile? Cosa avverrà dei Contratti di Servizio già sottoscritti? Cosa avverrà del progetto TLN che, a fine ottobre, dovrebbe far cessare i due rami d’azienda e far nascere un’unica realtà aziendale e lavorativa? Si tratta di criticità senza risposta che rischiano di aggravare la situazione. nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:36 Pagina 9 Tempo presente ꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴꔴ Quantità e qualità del servizio, investimenti, tariffe, lavoro, ripartizione tra ferro e gomma: queste sono le leve su cui la Regione sembra voler agire per compensare i tagli della manovra. Come ritiene che possa determinarsi una trattativa tra impresa e organizzazione sindacale e tra impresa e utenti se le decisioni non lasceranno altra scelta che il conflitto? BIESUZ - Come già dimostrato con il Patto per il Tpl, è il coinvolgimento dei diversi attori che rende possibile recepire le diverse problematiche del settore, secondo differenti punti di vista, e adottare soluzioni condivise che integrino le esigenze dei soggetti. I tagli della manovra dovranno essere considerati quali opportunità di discussione tra le imprese e le organizzazioni sindacali per rimettere in gioco il CCNL degli autoferrotranvieri e delle Attività Ferroviarie, ma anche gli accordi integrativi aziendali e i regolamenti interni. Tale confronto, da affrontarsi attraverso l’apertura di un tavolo, dovrà essere finalizzato a ricercare una soluzione condivisa tra imprese e organizzazioni sindacali per far fronte ai tagli della manovra attraverso azioni che permettano alle imprese di ridurre i propri costi, ma che garantiscano la tutela dei lavoratori. Inoltre, la manovra e le relative azioni di riforma del sistema di Tpl dovranno essere l’occasione per ripensare il settore attraverso una stretta collaborazione con gli utenti al fine di recepirne i desiderata. È necessario, infatti, che la configurazione del settore sia sempre più orientata alle esigenze dei clienti. Le aziende di trasporto devono fare un salto culturale sviluppando le aree commerciale, marketing, informazione e comunicazione per evolvere verso un servizio di mercato. BOITANI - Tra le leve menzionate non compare la concorrenza. Un errore grave se la Regione non vorrà utilizzarla, un errore ancora più grave se il sindacato vorrà ostacolarla o non vorrà sollecitarla. Se i principali attori del settore sceglieranno il conflitto, sarà un disastro. Ma un’espressione come “le decisioni non lasceranno altra scelta che il conflitto” non mi piace. Ha il sapore dell’inevitabilità e della fuga dalle responsabilità. C’è un vincolo coercitivo esterno, costituito dalla politica di bilancio del Governo (ci piaccia o non ci piaccia), cui bisogna adattarsi nel modo migliore per il maggior numero. E il maggior numero sono i cittadini utenti dei servizi. Se il conflitto dovesse ancora una volta danneggiare gli utenti, politica, aziende e sindacati meriterebbero veramente la rottamazione. CATANIA - Sarebbe un grave errore se l’unica via possibile per affrontare questa situazione fosse il conflitto. Proprio in questo momento è importante, invece, riunirsi intorno ad un tavolo per trovare, assieme a tutti gli attori coinvolti, la soluzione migliore per utilizzare le risorse disponibili. Per farlo veramente, però, bisogna accantonare i vecchi schemi e affrontare questo frangente con un nuovo spirito che metta al primo posto gli obiettivi comuni, il lavoro, la condivisione dei risultati, il servizio verso i cittadini. DAHO’ - Il trasporto pubblico non è un sistema chiuso e indipendente, ma fa parte del sistema complessivo della mobilità e quest’ultima del sistema sociale e politico come diritto alla mobilità sancito dalla Costituzione. Pertanto, la prima condizione per aprire delle trattative è che siano riconosciuti questi legami fondamentali. Ciò significa non solo che esiste un rapporto tra trasporto pubblico e trasporto privato che rende possibili travasi di risorse dall’uno all’altro, ma che il trasporto pubblico va salvaguardato per garantire la mobilità 9 nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:36 Pagina 10 Tempo presente T E M P O P R E S E N T E tema conflitto/trattativa ritengo che lo scenario dei prossimi mesi sarà dominato, almeno nella prima fase, dal prevalere di uno stato di entropia fra i vari soggetti portatori di interessi il cui esito, ad oggi, non è immaginabile. Per indole mi considero ottimista, ma all’orizzonte prevalgono ad oggi segnali negativi e di forte preoccupazione. 10 nel suo complesso e indipendentemente dalla disponibilità del mezzo privato. Occorre, inoltre, che la Regione dica chiaramente se ha ancora intenzione di puntare sul trasporto pubblico, tenendo presente che ogni proposito di sviluppo perderebbe totalmente di credibilità in presenza di forti aumenti tariffari, diminuzione dei servizi e diminuzione della domanda. Una terza condizione consiste nell’operare una profonda revisione qualitativa e quantitativa della politica degli investimenti, anche alla luce dei troppi sprechi del passato, o addirittura in atto (EXPO, TAV). Occorre evitare di fare ulteriori sprechi verificando l’effettiva necessità e priorità degli investimenti mediante un Piano della Mobilità regionale che, a partire dall’analisi delle effettive necessità, proponga degli obiettivi per il sistema della mobilità e delle strategie per raggiungerli, attraverso un processo decisionale trasparente e verificabile. Quarto, occorre una seria revisione delle normative che regolano il sistema e la gestione della circolazione ferroviaria e stradale, oggi imposte a livello ministeriale in base a logiche imperscrutabili od inattuali, che finiscono per appesantire i costi di gestione. Quinto, occorre che sia data trasparenza sui dati di bilancio delle aziende pubbliche, sugli introiti tariffari, sui dati di esercizio, sulla frequentazione. Sesto, occorre introdurre regole di vera concorrenza nel settore, assegnando i servizi alle Aziende che dimostrano di sapere gestire il servizio con maggiore efficienza. Queste sono le condizioni che, secondo me, sono necessarie non solo per aprire un confronto serio e costruttivo, ma anche per fare sì che la crisi incombente possa trasformarsi in un’imperdibile occasione di rinnovamento e di rilancio dell’intero settore del trasporto pubblico. PIURI - L’entità dei tagli è la variabile decisiva per capire se ci possono essere reali margini di negoziazione in grado di portare ad un accordo condiviso. In caso contrario credo, purtroppo, che non potranno che prevalere strategie conflittuali guidate dal principio del “tutti contro tutti”. Quello che è certo è che le imprese non intendono interpretare il ruolo del terminale debole della catena chiamato a farsi carico in modo irragionevole di responsabilità e scelte di altri. Sarà considerata, innanzitutto, ogni possibile azione legale a tutela dei propri interessi, attuazione del “Patto Tpl” incluso. Dovranno necessariamente essere attivati piani di ristrutturazione adeguati e coerenti con il nuovo quadro. Forse molti di quelli che fino ad oggi hanno rilasciato dichiarazioni non si rendono conto degli impatti e delle conseguenze di quanto dicono. Ma noi confidiamo sempre sulla ragionevolezza ed il buon senso. A me hanno insegnato che, al di là di teorie e ideologie, la realtà s’impone sempre. Avverrà così anche questa volta. SCARFONE - È necessario uscire da approcci semplificatori, come in parte è emerso nell’incontro di luglio in Regione, dove sono state indicate generiche azioni per “compensare” la manovra. Il complesso delle azioni attivabili dipenderà probabilmente dalla misura dei tagli e, nel contempo, dalla capacità dei vari soggetti di contribuire positivamente ad individuare un difficilissimo percorso per far fronte alla nuova situazione. Come Asstra Lombardia stiamo preparando un documento che contiamo di presentare nei prossimi giorni. Per quanto riguarda il CORTORILLO - L’entità dei tagli non consentirà una loro sostenibilità attraverso il solo autofinanziamento. Le economie richieste sono, infatti, strutturali e non una tantum. Questo significa che, se si dovesse agire su livelli di qualità ed estensione del servizio (riducendo maggiormente i servizi su gomma e quelli urbani, nelle fasce serali e nei giorni festivi), muterebbe la natura del trasporto pubblico. Per la stessa ragione, un incremento elevato delle tariffe farebbe diventare il trasporto pubblico non più conveniente, spostando le criticità sulle strade e sulla sostenibilità ambientale. Un minor servizio porterebbe a una drastica riduzione di occupazione, al momento concentrata nel personale viaggiante. Un settore privo di ammortizzatori sociali sarebbe incapace di gestire una riorganizzazione del servizio così pesante. Molto deriverà da quanto la Regione e gli enti locali decideranno nei prossimi mesi. Un settore lasciato da solo a gestire le conseguenze irresponsabili dei tagli non ha alcuna chance di superare la prova. Si tratterà di ridefinire ruolo ed estensione del servizio, risorse, regole, qualità del mercato e delle imprese, tutela del servizio e del lavoro. Si tratterà, in primis da quella parte della politica che ogni giorno grida all’autonomia da Roma, di dire quali risorse servono e dove recuperarle. Sapendo che non sono nascoste nel Tpl, ma vanno trovate nei Bilanci e nell’economia della regione. Può l’economia, l’articolazione produttiva e sociale della Lombardia, reggere un trasporto pubblico destinato a declinare? Perché non realizzare quanto avviene in molti paesi nei quali il trasporto privato sostiene quello pubblico? Si apre uno scenario dentro il quale, proprio per evitare un conflitto sociale e nel lavoro, la politica, sia al governo sia all’opposizione, deve ripensare a cosa far diventare il Tpl nel futuro della regione e del paese. Da questa premessa dovrà avviarsi un’azione che inverta e contrasti quanto la manovra di Tremonti ha deciso. La Filt e la Cgil auspicano e lavoreranno per un “Nuovo Patto per il Tpl”. Evitando di fingere che quanto abbiamo davanti sia facilmente affrontabile, e cercando di impedire che a pagare siano i soggetti più deboli: utenti e lavoratori. nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:36 Pagina 11 Tempo presente DIRITTI, LA STAGIONE DELLE SCELTE di Damiano Galletti, Segretario Generale Cgil Brescia La decisione di Federmeccanica di disdire il contratto nazionale di lavoro del 2008, firmato da tutti i sindacati di categoria, è un atto che da un lato punta a svuotare la contrattazione nazionale e dall’altro rappresenta una scelta di rottura e di scontro frontale nei confronti della Fiom e della Cgil nel suo insieme. Le premesse di questo attacco, in atto da diversi mesi, hanno avuto un’accelerazione all’inizio dell’estate con la vicenda di Pomigliano. Che, è bene ricordarlo, non è stato un accordo ma un’imposizione della Fiat ratificata da alcuni sindacati. In quell’occasione, attraverso un referendum (strumento che Cisl e Uil promuovono solo a corrente alternata...), il 40% dei lavoratori di Pomigliano (soprattutto donne e giovani) ha comunque detto no al ricatto che sacrificava diritti fondamentali quali la malattia e lo sciopero in nome di un lavoro purchessia. Ad ogni modo, già dal dibattito che ne è seguito ed è ancora in corso, è apparso evidente che Governo e ampi settori di Confindustria vorrebbero estendere il modello Pomigliano a tutto il paese. Le ricette sono le stesse da 30 anni: flessibilità, riduzione dei salari, e ancora flessibilità. Con l’aggiunta della limitazione del diritto di sciopero, della riduzione dei pagamenti per la malattia, della riduzione dei giorni di ferie. Spiegano che in questo modo si crea occupazione e ricchezza. È quanto dicono da 30 anni a questa parte, con il risultato che in Italia c’è un alto livello di disoccupazione, le ore lavorate sono più che in altri paesi europei, i salari sono tra più bassi. In Polonia e in Serbia un operaio di un’azienda automobilistica prende 350 euro al mese, in Germania 3mila euro. Noi dove ci mettiamo? C’è il rischio di risultare noiosi, ma è bene ripeterlo: in Italia c’è un grande problema di giustizia sociale. Da 30 anni chi ha tanto ha Contribuire a costruire una società coesa e solidale, non spaccata in ricchi e poveri, e questi ultimi in italiani e stranieri, è l’essenza stessa di un sindacato. sempre di più, da 30 anni chi ha poco ha sempre di meno. Forse è anche per questo, per inciso, che i consumi latitano. Il contratto nazionale di lavoro, che ora viene messo in discussione in nome della flessibilità e perché “così impone la globalizzazione”, dovrebbe svolgere una funzione redistributiva e stabilire quali sono i diritti e i doveri specifici dei lavoratori e dei datori. La sua funzione storica, in un certo senso, è stata quella di unire le forze di soggetti deboli (i lavoratori) di fronte a un soggetto forte (il datore di lavoro). Se il contratto nazionale viene meno, chi ci rimette sono i lavoratori, non le imprese. Citando Cesare Romiti - sì, proprio l’ex amministratore delegato Fiat intervistato il 28 agosto dal Corriere della Sera a proposito di Marchionne e soci - «Un conto è trovare la formula per ricomporre la contrapposizione, come in Germania, con la partecipazione dei lavoratori ai risultati dell’impresa. Ma la contrapposizione degli interessi ci sarà sempre, ed è un bene che ci sia». Le cose per i lavoratori, peraltro, non vanno bene da parecchi anni. Negli ultimi 25 anni (fonte Ocse) 11 nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:36 Pagina 12 T E M P O P R E S E N T E Tempo presente 12 i redditi da lavoro hanno perso 7-8 punti sul Pil a favore dei redditi da capitale. Sono decine di miliardi di euro che dai lavoratori sono andati agli imprenditori. E si sa che, se i soldi sono troppo concentrati nelle mani di pochi, c’è anche la domanda interna che diventa stagnante. Che è poi una delle cause della crisi economica ancora in corso. Anche sul piano dei diritti le cose vanno male per i lavoratori e il segno è dato soprattutto dai tanti contratti atipici che hanno occupato la scena nell’ultimo decennio. Atipico significa controllo pieno sui tempi, sull’intensità del lavoro, sulla durata del contratto, sulle retribuzioni. La controriforma delle pensioni approvata in estate è un rialzo brutale dell’età pensionabile che accentua gli squilibri già esistenti. Che colpisce i lavoratori e soprattutto le lavoratrici. E che non interviene sul futuro pensionistico dei giovani, il grande nodo irrisolto del sistema previdenziale attuale. Non ci stupisce. D’altronde, con le pensioni così come per il resto, l’operato del Governo si è finora caratterizzato per la sua iniquità e ingiustizia. Nulla è stato chiesto alle rendite e ai grandi patrimoni, tutto si è scaricato sul lavoro dipendente e sui pensionati. La torta deve essere divisa più equamente. Il modo in cui farlo dice anche del futuro che vogliamo e di che paese vorremmo lasciare ai nostri figli e nipoti. Nel nostro paese ci sono tanti imprenditori che fanno bene il loro mestiere e c’è anche un sapere operaio diffuso. Il mercato e le imprese sono importanti, ma lo sono ancora di più le persone, uomini e donne. Le tasse devono essere ridotte, certo, ma a chi e in che modo visto lo stato delle finanze pubbliche? C’è l’evasione fiscale, immensa. C’è la necessità di ridurre la tassazione per chi investe e per chi lavora. Aumentando le tasse, al contrario, per i grandi patrimoni e per le rendite finanziarie. La politica dovrebbe fare questo. Ma, nel migliore dei casi, è assente, in altri è complice e guarda al passato. Che è poi un guardare al breve periodo, brevissimo, e agli interessi propri e dei propri amici. Il futuro è l’economia verde, è l’innovazione, sono le tecnologie avanzate. Se questa è la strada, noi ci saremo e faremo la nostra parte. Se la ricetta è il passato e il simulacro della flessibilità come panacea di tutti i mali, noi non ci saremo. È la stagione dei diritti e delle scelte coraggiose. Un’ultima osservazione, che riguarda nello specifico la provincia di Brescia e la Lombardia. Da dopo le elezioni politiche (e amministrative in molti Comuni) del 2008 e il pacchetto sicurezza della stessa estate, in molte Amministrazioni del bresciano, profondo Nord, c’è stato un fiorire di provvedimenti accomunati dalla voglia di dividere le comunità in base all’etnia (o tra chi può pagarsi la mensa e chi no) e di ridefinire le politiche locali di welfare. Mensa negata ai bimbi di Adro, bonus bebè per i soli figli di italiani, residenza legata al reddito: sono solo alcuni esempi di ordinanze e delibere decise dalle amministrazioni locali a guida Lega Nord-Pdl negli ultimi mesi. Nel paese delle tante partite Iva e della grande evasione fiscale, l’agire della Lega Nord cerca di scardinare quotidianamente il concetto di solidarietà. Come Camera del Lavoro di Brescia insieme alla Fondazione Piccini per i diritti dei popoli e al gruppo di avvocati dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione – stiamo da mesi contrastando, oltre che sul piano dell’iniziativa politica, anche sul piano legale queste delibere e provvedimenti. Nella gran parte dei casi con successo, un aspetto questo che di per sé giustificherebbe l’iniziativa legale. Non è però solo questo: in tutti i casi, infatti, le vertenze di tipo legale si sono rivelate un’ottima opportunità per aprire un dibattito pubblico, anche attraverso i media locali, su concetti chiave quali solidarietà, integrazione, povertà. Sono concetti che vivono in concreto nelle tante situazioni di difficoltà delle famiglie anche nella ricca Lombardia. Riguardano i tanti cassintegrati costretti a vivere da tempo con meno di mille euro al mese e i tanti, troppi, atipici che di tipico hanno oramai solo la confidenza con uno stato precario. Parlare di queste persone, uomini e donne, e rappresentarne gli interessi, è l’essenza stessa di un sindacato che si vuole definire tale. E che vuole contribuire a costruire una società coesa e solidale. Non spaccata in ricchi e poveri e, questi ultimi, in italiani e stranieri. nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:36 Pagina 13 Tempo presente La funzione organizzativa, specchio del rinnovamento della FILT di Mariano Chierchia, Segretario Organizzativo Filt-Cgil Lombardia Secondo le principali ricerche in ambito occupazionale, per adattarsi ai cambiamenti futuri dei mercati del lavoro saranno necessarie competenze nuove e più elevate. La crisi economica e fattori strutturali quali la globalizzazione, i mutamenti tecnologici, l’invecchiamento della popolazione, la regolazione di strumenti legislativi verso normative sovranazionali, contribuiscono alla rapida trasformazione delle strutture organizzative delle Istituzioni, delle Imprese, dei grandi soggetti collettivi e delle Associazioni di rappresentanza. Questa evoluzione, talvolta accelerata, comporta come conseguenza la carenza di competenze adeguate, il ritardo nelle soluzioni a nuove esigenze, come le richieste di una rappresentanza più efficace e flessibile, in sintonia con le sollecitazioni di innovazione che provengono dal mondo del lavoro. È indispensabile, quindi, anche per il sindacato compiere sforzi per migliorare le proprie performances, nei molteplici campi di attività; in un contesto di difficoltà di risorse economiche, di accentuata competitività fra le organizzazioni di rappresentanza e di una riduzione generalizzata di vocazione e di appartenenza. La Conferenza di Organizzazione è stata l’occasione, per tutte le categorie e le strutture confederali della CGIL, per approfondire e analizzare in dettaglio lo stato patrimoniale, la condizione finanziaria, la dotazione storico-documentale, la ricchezza del capitale umano. Una dettagliata radiografia dell’ossatura di ciò che permette alle iniziative sindacali di realizzarsi e fare proposte politiche. Ecco, uno studio approfondito a partire proprio dagli aspetti tipici della funzione organizzativa; una sorta di rivoluzione copernicana, in quanto, tradizionalmente, nelle aggregazioni a carattere sindacale e politico, tale funzione è sempre stata considerata di secondaria importanza. In sintesi, i Dipartimenti Organizzazione determinanti all’interno della CGIL per realizzare e implementare il grande progetto collettivo di mettere insieme le categorie, la confederazione e i servizi, attraverso lo sviluppo della presenza nel territorio! È necessario cambiare il ruolo del segretario organizzativo, non ridurlo a gestore di piccoli problemi cercando, invece, di costruirne un profilo ben strutturato e visibile. È fondamentale recepire il concetto che operare nel sindacato sia una peculiarità specifica e che esso rappresenta un sistema “a legame debole”. In questo tipo di sistema tutti gli elementi di un’organizzazione interagiscono fra loro ma mantengono un elevato grado di autonomia, quindi sarebbe completamente sbagliato immaginare di gestire i rapporti fra strutture del sindacato con gli strumenti tipici delle aziende, che hanno la missione di produrre profitto per i propri azionisti. Ad esempio, può creare un corto circuito ed ottenere risultati opposti all’obiettivo, supporre di poter risolvere problemi di gestione attraverso emanazione di “editti” o “ordini di servizio”! Al contrario, un’efficace funzione organizzativa deve valorizzare la capacità di flessibilità e di maggior adattamento a varie soluzioni, proprio di una struttura a legame debole. Per il comparto dei trasporti, è un vantaggio notevole poter disporre di offerte di rappresentanza diffuse secondo la variabilità della domanda (immigrati, alte professionalità, lavoratori stanziali, L’organizzazione come opportunità di costruire un percorso di consolidamento, dall’approccio del tesseramento, al riconoscimento delle idee e della strategia della federazione, alla realizzazione del senso di appartenenza. operatori di linea). Un’altra opportunità che può essere colta dal sindacato è la realizzazione di un modello organizzativo che valorizzi maggiormente il decentramento e il territorio, processo favorito dalla dissoluzione delle grandi aziende pubbliche e private – con il relativo carico politico delle categorie storiche - e dal diverso peso che avrà il contratto nazionale. In sostanza, il dipartimento organizzativo come recettore di nuovi bisogni esterni e promotore di soluzioni empiriche che soddisfino le esigenze recepite. È chiaro che un processo così dinamico, per realizzarsi in modo efficace, necessita della condivisione più diffusa possibile e di un elevato feed-back nel percorso di formazione. In una struttura, come il sindacato, a legame debole, divengono fattori di valore aggiunto categorie quali la “qualità” delle persone e la “autodeterminazione” degli attori. Allora è fondamentale che la funzione organizzativa presidi i fabbisogni formativi e assicuri il massimo sforzo possibile per lo sviluppo professionale. In tal senso, l’Ufficio Studi e Ricerche della Filt Lombardia rappresenta un esempio consolidato, avendo realizzato il duplice obiettivo di mantenere adeguati standard di aggiornamento formativo e di contribuire alla costruzione di nuovi e giovani sindacalisti. Eccellenti i risultati ottenuti, rendendo possibili economie di scala, attraverso un’efficiente sinergia con la Filt Nazionale e con la Camera del Lavoro di Milano. Ricercare percorsi formativi trasversali per tutta la federazione, onde costruire figure di tecnici, utili a tutta la struttura, che sappiano fornire risposte di qualità su materie specialistiche – fiscali, pensionistiche, contribuzione integrativa, disagio sociale, sicurezza sul lavoro – ma diffuse, ad ampio spettro, nei vari comparti dei trasporti. 13 nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:36 Pagina 14 T E M P O P R E S E N T E Tempo presente 14 Per il dipartimento organizzazione il tema dello sviluppo formativo e professionale dovrà essere mirato anche a realizzare un utilizzo più efficace ed efficiente di nuovi software informatici e tecnologie più avanzate, attraverso un’attenta valorizzazione del personale impiegato per offrire un servizio di maggior qualità agli iscritti. L’implementazione delle sezioni del sito della Filt (recentemente rinnovato e puntualmente aggiornato) è un obiettivo da realizzare affinché anch’esso divenga patrimonio di tutta la struttura e strumento specializzato e di valore aggiunto, attraverso cui partecipare in modo più diffuso l’attività, le scelte e le iniziative della federazione. La funzione organizzativa è il filtro delle iniziative e degli appuntamenti di tutta la struttura, perciò le è propria la missione di custodirne la memoria. Quindi un efficiente metodo di archiviazione del lavoro prodotto è indispensabile per verificarne, politicamente, gli obiettivi raggiunti, ma soprattutto assume la responsabilità di consegnare integra la storia degli avvenimenti contemporanei ai futuri gruppi dirigenti della federazione. Una fonte di autofinanziamento è costituita dal lavoro svolto dall’Ufficio Vertenze, per cui è strategico porre un’attenzione specifica verso quest’attività. Va ottimizzata l’interfaccia dell’ufficio con i vari settori, affinché si realizzi il coordinamento delle pratiche legali attraverso un unico interlocutore per ogni dipartimento, che diventa riferimento specialistico per affiancare l’Ufficio Vertenze nei momenti di picco dell’attività. Nelle vertenze collettive in grandi aziende è da ricercare un metodo concertativo fra le organizzazioni sindacali, per favorire la scelta del lavoratore su criteri di qualità del servizio offerto, ottenere limpide conciliazioni, certezza dei tempi del giudizio e del risarcimento dovuto. Per il dipartimento organizzazione è essenziale guardare nel profondo il cambiamento che ci sta coinvolgendo. Il mosaico degli iscritti è composto sempre maggiormente da giovani, immigrati, lavoratori di piccole imprese, per cui l’offerta dell’organizzazione deve sintonizzarsi su bisogni e domande che provengono da questa nuova base di associati. A tal riguardo, i servizi forniti devono collocarsi in una logica di rappresentanza, si deve instaurare un rapporto fiduciario e non di mera consulenza- con coloro che chiedono un servizio, tendere verso standard di qualità e offrire, possibilmente, servizi personalizzati. Il mondo dei servizi come porta di accesso all’universo sindacale! La funzione organizzativa come opportuni- tà di costruire un percorso di consolidamento, dall’approccio del tesseramento, al riconoscimento delle idee e della strategia della federazione, alla realizzazione del senso di appartenenza. Il team del dipartimento organizzazione dovrà essere ossessionato dalla ricerca di comunicare un sentimento, un’emozione; il marchio della Filt dovrà trasmettere qualcosa di inequivocabile. Segmentare la base associativa per capirne le domande, definire le esigenze comuni, tracciare i confini per un’azione che miri all’identificazione degli interessi per rafforzare un’identità. In quest’ottica, complessa ed integrata, vanno prodotte iniziative sul piano dell’insediamento associativo. Progetti mirati vanno indirizzati verso i settori a più debole tutela, non dimenticando che nei comparti e nelle aziende storiche, dove è maggiore la presenza del sindacato, iniziative di insediamento devono caratterizzarsi per meglio definire e qualificare l’azione della Filt. Necessario un approfondimento sulla presenza, sulla struttura e sullo stato patrimoniale delle imprese del comparto nel territorio regionale, programmando in tal senso piani di lavoro sulle politiche di insediamento con i territori provinciali. Nell’area metropolitana va caratterizzata la visibilità della categoria anche in prospettiva degli interventi legati all’EXPO 2015; ribadendo che ad ogni programma specifico va indicato il segmento di azione, le risorse dedicate, i soggetti che contribuiscono a fornirle e i tempi di realizzazione. Tutti i progetti devono essere sostenibili, monitorati e verificati! Compito vitale del dipartimento organizzazione è il presidio del governo dei budget assegnati nei vari capitoli delle entrate e delle uscite. Alcuni adempimenti immediatamente realizzati permetteranno di focalizzare l’attenzione su alcune voci di bilancio che incidono notevolmente sull’equilibrio finanziario: il monitoraggio dell’attività del recupero crediti nei confronti delle aziende è fondamentale per garantire la certezza del trasferimento delle quote contributive dovute all’organizzazione; la revisione di alcuni contratti con i fornitori favorisce, oltre che un risparmio nella spesa, la possibilità di una scelta di maggior qualità; una maggiore attenzione nell’utilizzo delle varie utenze può, da subito, apportare un beneficio ai flussi di risorse in uscita. L’obiettivo è riuscire a costruire dei bilanci che abbiano una lettura unificata fra la struttura intrecciata Milano/Lombardia e i territori. È chiaro che il benchmark cui tendere è la predisposizione del bilancio sociale della Filt. Questo processo presenta maggiori livelli di trasparenza e maggiori possibilità di controllo, favorendo una riflessione sulla missione dell’organizzazione, sulle sue prospettive di sviluppo, verificando le coincidenze fra azioni ed aspettative. È fondamentale una sinergia strategica fra le opzioni di natura politica, che devono essere condivise per poi realizzarsi compiutamente in pratiche organizzative. La funzione organizzativa agisce, quindi, come “attivatore di rete”, perno motivazionale, centro di integrazione fra i vari dipartimenti. In questa logica, deve promuovere la più ampia, partecipata e chiara visibilità ai progetti politici maturati dalla federazione, deve essere il “motore” motivazionale per tutti i protagonisti dell’organizzazione che, attraverso le loro azioni, rendano riconoscibile una Filt più moderna, più efficiente e più incisiva nella sua iniziativa. nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 15 Il Bilancio sociale Tempo presente come strumento di cambiamento di Luca Stanzione, Responsabile Progetto Bilancio sociale Filt Lombardia “Bilanciare” è sempre un po’ mettersi in discussione per cambiare o per confermare scelte che non riguardano la contingenza del periodo, ma che condizionano l’intera strategia di chi si appresta a valutarsi. La Filt-Cgil Lombardia inizia il percorso per la redazione del Bilancio Sociale Partecipato, che è stato oggetto di discussione dentro le assisi congressuali e la Conferenza di Organizzazione. “Bilanciare” è sempre un po’ mettersi in discussione per cambiare o per confermare scelte che non riguardano la contingenza del periodo ma che condizionano l’intera strategia di chi si appresta a valutarsi. Lo strumento del Bilancio Sociale trova ispirazione dentro quel dibattito accademico attorno alla Business Ethics che, agli inizi degli anni Ottanta, approda nelle università nordamericane specializzate nella formazione. Al centro sta il tentativo di mettere a valore la tesi secondo la quale il Mercato contiene dentro di sé un fine socialmente utile. L’Etica d’Impresa è la scintilla originaria che apre un dibattito che ha attraversato tutte le culture politiche, sia nordamericane sia europee, con posizioni eterogenee e che ha subito un continuo cambiamento nel corso dell’ultima parte del secolo scorso. Se la Business Ethics sia alimentatrice della mancata redditività dell’impresa è un principio che mai è stato verificato empiricamente. Al contrario, sappiamo che un’organizzazione è più capace di rispondere alle esigenze dei suoi portatori di interesse, nel nostro caso i lavoratori e gli iscritti alla CGIL, nel momento in cui interiorizza visioni molteplici. Un modello valutativo che nel tempo ha preso il nome di Balanced Scorecard. Le motivazioni che spingono la Filt-Cgil e l’intera Confederazione a percorrere l’impegnativa strada della rendicontazione sociale sono molteplici e richiamano le ragioni più profonde della nostra storia. La storia del movimento sindacale europeo è segnata da un patto originario tra lavoratrici e lavoratori indirizzato verso rivendicazioni che tendono a migliorare le pro- prie condizioni di vita. Un patto originario che dura fino ad oggi perché contraddistinto da un duplice rapporto di Fiducia. Un rapporto fiduciario e di delega alla rappresentanza. Il primo, che è sempre stato legato ad una condivisione di ideali e talvolta di ideologie che, nelle organizzazioni sindacali del terzo millennio, lasciano il posto a rapporti fiduciari legati alla funzionalità dell’organizzazione sindacale. Un rapporto fiduciario, il secondo, che richiede costantemente una sua riedizione e una sua riconquista. Un rapporto attraverso il quale costruire un’idea più alta e di prospettiva fuori dall’utilità immediata. Recentemente il quotidiano l’Unità ha pubblicato un sondaggio dal quale emergeva con chiarezza una delle ragioni per le quali le lavoratrici e i lavoratori scelgono l’iscrizione al sindacato: l’utilità finale, “mi iscrivo perché mi serve”. La motivazione immediata può sembrare quella di un’iscrizione povera nella condivisione di valori di cui è portatrice la CGIL. Questa motivazione obbliga, però, noi tutti a far leva su questa valutazione originaria per rimettere in condivisione i valori di fondo che ci uniscono. Per questa ragione il Bilancio Sociale rappresenta uno degli strumenti più immediati attraverso i quali la nostra categoria e la confederazione possono rinnovare costantemente il proprio rapporto di fiducia con i lavoratori. Solo con precise politiche di accountability – politiche di programmazione e controllo- l’impresa sociale riesce a sviluppare e a conservare nel tempo il suo principale asset istituzionale: la relazione di fiducia con i propri aderenti. Il Bilancio Sociale nasce con la finalità ultima di dimostrare la capacità di ottenere risultati coerenti con le aspettative che le lavoratrici e i lavoratori hanno nei confronti sia della Filt sia della Confederazione. Un’altra ragione che alimenta l’esigenza della Filt di costruire il proprio Bilancio Sociale è il ruolo che hanno per la nostra categoria i “portatori di interessi”. Il Bilancio Sociale nasce sempre come un rendiconto della gestione interna delle organizzazioni, per valutare e prendere decisioni e altrettanto utile per rappresentare all’esterno la propria attività. Avremmo potuto farci cucire dall’esterno un Bilancio Sociale. Al contrario, abbiamo scelto la strada di sperimentare un percorso che parta da dentro di noi, non in un rapporto con un soggetto estraneo all’organizzazione ma organico ad essa, perché pensiamo ad un percorso più severo ma più efficace nell’analizzare noi stessi e, partendo da qui, cambiare modelli organizzativi, trasmettere i nostri valori ed essere coerenti con gli esempi che diamo. Per la natura confederale della Cgil e della Filt vi è un patto non scritto tra il nostro sindacato ed il resto della società. Un patto che dice del nostro impegno per rappresentare i lavoratori, contrattare e migliorare il paese. Il nostro Bilancio Sociale è innanzitutto rivolto a ritessere nuovamente questi impegni. La categoria dei trasporti è caratterizzata dal muoversi costantemente su un terreno di contrattazione 15 nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 16 T E M P O P R E S E N T E Tempo presente 16 che vede coinvolti tre soggetti: i lavoratori, le imprese e i fruitori dei servizi che imprese e lavoratori garantiscono. Questa particolarità attiene a quelle categorie che sindacalizzano il settore dei servizi. In questa relazione composta di più soggetti, sta a noi essere capaci di relazionarci alle imprese, ai lavoratori, ai cittadini: questo è il punto di forza di qualsiasi nostra battaglia. In ogni vertenza o rivendicazione in cui assumiamo la prospettiva di rivolgerci contemporaneamente a questi tre soggetti, aumentiamo le nostre possibilità di conseguimento degli obiettivi prefissati. È così quando sappiamo rivolgerci anche ai pendolari oppure ai clienti finali della filiera delle attività dentro le quali agiscono i trasporti, ad esempio la grande distribuzione. Per questo il Bilancio Sociale ha una forte valenza politico sindacale ed è uno Irresponsabile” illustra nel dettaglio i passaggi storici con i quali si è arrivati all’assunzione della “massimizzazione di valore per l’azionista” come unico paradigma manageriale, in nome del quale l’oscillazione del valore di ogni singola azione è diventata la missione principale dei gruppi dirigenti delle grandi società. Per cui non importa se, irresponsabilmente, nei rapporti trimestrali e semestrali si comunica un andamento positivo che non si avrà la certezza di raggiungere. Possiamo individuare un comportamento altrettanto irresponsabile e diseconomico nell’allungarsi a dismisura delle filiere produttive nel settore dei servizi. La lunga catena di finte cooperative e società, riscontrata nella ormai famosa vicenda di Pieve Emanuele, ne è l’esempio. Per tutte queste ragioni la Responsabilità Sociale d’Impresa ritorna prepotentemen- degli strumenti utili a questa relazione. Un’ulteriore ragione attiene alla crisi economica che stiamo attraversando. La crisi ci muove ad un ragionamento più ampio a proposito del ruolo che le imprese dovranno avere nella fase che si aprirà successivamente, e di quale ruolo giochi il sindacato perché il sistema produttivo diventi più responsabile di quanto non lo sia stato fino ad ora. Non è questo il luogo per indagare tutte le ragioni scatenanti di quella che, durante il congresso della Filt Lombardia, anche noi abbiamo definito come la crisi economica più rilevante da quella degli anni trenta. Penso sia utile ragionare su quale ruolo hanno avuto le imprese e il loro management nell’origine della crisi. Luciano Gallino in “L’Impresa te all’ordine del giorno come una delle battaglie che il movimento sindacale può assumere attraverso proposte concrete, come quella che porti la legislazione europea e italiana ad imporre alle imprese un sistema di rendicontazione sociale che includa tra le obbligatorietà la misurazione dell’impatto ambientale e dell’impatto sociale. Lo strumento che meglio rendiconta la responsabilità sociale dell’impresa è il Bilancio Sociale. Per noi che facciamo sindacato, in un periodo di crisi, la rendicontazione all’esterno delle nostre strutture, su come sono impiegate le risorse che ogni singolo iscritto affida alla Filt-Cgil, ha lo scopo di rendere trasparente il comportamento della categoria sindacale e quindi riedifi- care un rapporto fiduciario da parte degli iscritti che formano il “cuore motivazionale” della nostra organizzazione. “Bilanciare” obiettivi e risultati è il compito principe del Bilancio Sociale di un’organizzazione. Ogni società (for profit o non profit) è portatrice di interessi che spingono la stessa alla riconferma della sua esistenza, anno dopo anno. La misurazione del soddisfacimento di questi interessi, inevitabilmente, ha strumenti diversi secondo la loro tipologia. Nel caso volessimo conoscere lo stato di salute di un’azienda, leggeremmo il suo Bilancio civilistico. Non basterebbe, ovviamente, ma sarebbe il passo principale per operare una prima valutazione. Nel caso volessimo dare un giudizio a proposito dell’efficienza di una scuola pubblica, è evidente che i primi dati da prendere in considerazione sarebbero la composizione delle classi, il numero di studenti promossi o bocciati. Lo stesso può valere per una squadra di calcio: in questo caso l’immediatezza è meno scontata, in quanto avere unicamente l’informazione sulla sua forma economica potrebbe essere fuorviante. Al contrario, saremmo in grado di dare un giudizio compiuto solo se leggessimo, a fianco dei dati economici, quelli legati ai successi e agli insuccessi sportivi, l’impegno orario dedicato alla preparazione agonistica. Ugualmente vale per la nostra categoria sindacale: se vogliamo tenere monitorata la vita politica della nostra struttura sindacale, dobbiamo fissare i nostri obiettivi politici sul medio-lungo termine e per ognuno di questi capire ed elaborare degli indicatori che registrino il conseguimento dell’obiettivo prefissato, monitorarli nel corso del tempo, confrontarli con l’impegno economico e gli investimenti indirizzati verso ciascuno degli obiettivi. Questo determinerà un riadeguamento dei parametri di entrate/uscite o costi/ricavi e ridisegnerà le nostre priorità e le nostre finalità. Solo così saremo in grado di monitorare le trasformazioni che attraversano la Filt. L’insieme di questi indicatori intesserà la trama di un sistema di accountability della nostra attività politica e sindacale. Per la Filt-Cgil il proprio Bilancio Sociale sarà un Processo di cambiamento che proverà ad affrontare quei grandi temi che il congresso della nostra categoria ha messo in luce. La Filt ha sempre dimostrato grande capacità di analisi per comprendere quali innovazioni apportare per poter rispondere con maggiore efficacia alle nuove esigenze della categoria dei trasporti. Il primo Bilancio Sociale sarà un nuovo strumento per alimentare questo cambiamento. nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 17 Trasporti in Valle D’Aosta Tempo presente Un territorio piccolo con problemi grandi di Antonio Fuggetta, Segretario Generale Filt-Cgil Valle D’Aosta Con la fase congressuale da poco conclusa è necessario che la Filt, anche nel nostro territorio, riesca ad essere più incisiva, accelerando i processi ormai ineludibili. In una Regione a Statuto Speciale che conta circa 126 mila abitanti, i lavoratori dei trasporti sono circa 1600 ed operano in gran parte in aziende di piccole dimensioni (al di sotto di 15 addetti): circa 900 nel trasporto a fune con quasi i 2/3 stagionali; circa 350 nella viabilità; circa 60 nel trasporto ferroviario; circa 250 nelle autolinee; gli altri sono ripartiti tra il trasporto aereo ed il merci, caratterizzato dalla presenza per la gran parte di padroncini e in altri piccoli settori. La Filt, con i suoi circa 600 iscritti, con notevoli difficoltà e dispendio di risorse soprattutto per le ferrovie in quanto le trattative sono svolte a Torino (sede dell’ex compartimento) e per le funivie con sede in alta montagna, è insediata su tutto il territorio regionale con la presenza nelle quattro sedi periferiche della CGIL. Inoltre, è impegnata da sempre in modo propositivo in un confronto serrato con le Istituzioni, in particolare con la Regione che, forte della sua autonomia, legifera anche in materia trasportistica. L’assenza di una politica dei trasporti è all’origine di gran parte dell’inefficienza del Sistema Paese che non ha risparmiato la nostra Regione la quale, pur essendo a statuto speciale, ne ha subito gli effetti negativi soprattutto per le ferrovie. In Valle D’Aosta permane il problema dei collegamenti ferroviari inadeguati e obsoleti e l’attivazione dell’alta velocità tra Torino e Milano ha ulteriormente isolato il territorio valdostano. Peraltro, il processo di diffusa automazione ha prodotto in questi anni una riduzione drastica di personale. Per questo, l’Accordo di programma sottoscritto tra il Ministero dello sviluppo economico, le regioni Piemonte e Valle D’Aosta ed RFI e l’Intesa sulle grandi opere tra Governo e regione Valle D’Aosta siglata di recente devono essere considerati prioritari ed immediatamente esigibili, al fine di consentire lo sviluppo dell’infrastruttura ferroviaria, per una migliore qualità del servizio offerto all’utenza e la condivisione di un sistema coeso ed inclusivo. Il trasporto a Fune rappresenta il settore trainante per il turismo e per l’economia regionale. Per questo si esprime forte preoccupazione nel caso venisse a mancare l’intervento pubblico sulle infrastrutture che consentono il radicamento sul territorio montano dei lavoratori che operano nel settore, prevalentemente in alta quota, con forti sbalzi di dislivello e di temperatura. A tal proposito, è opportuno un approfondimento sulle conseguenze per la salute degli addetti, coinvolgendo la Confederazione, il Patronato INCA – CGIL ed esperti di medicina di alta montagna, anche a seguito dell’inasprimento del sistema previdenziale. Nel trasporto Pubblico Locale, il 2010 e il 2011 rappresentano per il Sindacato anni intensi in quanto è stato approvato il nuovo piano di bacino di traffico per il prossimo decennio e si procederà al rinnovo degli appalti di servizio su tutto il territorio. Si dovrà vigilare quindi sulla garanzia delle clausole sociali per i lavoratori interessati, sullo sviluppo degli attuali servizi offerti all’utenza e su un sistema tariffario accessibile a tutte le fasce sociali. Per il trasporto aereo, i lavori di potenziamento dell’aeroporto “Corrado Gex” mirati a consentire i voli notturni, finalmente, daranno un’adeguata risposta alla clientela turistica che frequenta la nostra regione, in particolare per le settimane bianche, sperando che si producano anche risvolti occupazionali positivi. A differenza della ferrovia, il settore della viabilità ha avuto un forte sviluppo autostradale nei collegamenti dei due trafori, per il versante francese e per quello svizzero. Questo impegna costantemente la Filt in trattative congiunte, tra le due società e le relative rappresentanze sindacali, in particolare da quando, dopo la tragedia nel tunnel del Monte Bianco, è stato costituito il GEIE (Gruppo europeo di interesse economico) per la gestione del servizio con personale italiano e francese. Nei servizi di pronto intervento e antincendio, attualmente in appalto, si sono sviluppati i livelli occupazionali. Riteniamo fondamentale che queste attività siano internalizzate e, considerate le direttive Europee in materia di sicurezza nelle gallerie e la sua evoluzione in campo nazionale, in fase di rinnovo del CCNL della viabilità è necessario esplicitare meglio ruolo e mansioni del responsabile della sicurezza. La formazione, in particolare per i giovani quadri e delegati, è fondamentale per la Filt che deve riuscire ad investire in tale campo, pur tenendo conto delle esigue risorse a disposizione del territorio. Va, infine, data continuità alle azioni necessarie per affrontare in modo adeguato i rinnovi contrattuali. 17 nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 18 Nella grande distribuzione la dignità non è in vendita In linea di Paola Bentivegna, Filt-Cgil Lombardia I N L I N E A Una lotta bella: cronistoria di una vertenza in difesa dei lavoratori tra grande impresa, consorzi e cooperative. Ayman, Ana, Matteo, Ly... un racconto di ordinario e nascosto sfruttamento tra cambi di appalto e diritti negati. 18 Questo è il racconto di alcuni dei 62 lavoratori e lavoratrici, in presidio permanente dall’8 giugno davanti ai cancelli della GS/Carrefour di Pieve Emanuele. E che vede coinvolti la grande impresa, appaltatori (Consorzio Gemal Servizi), Società Cooperative (Gemal Cooperative), cooperative RM e La Gioventù. Abbiamo raccolto dalla loro voce, dalla fine di luglio ad oggi, la descrizione, le preoccupazioni e le speranze su una vicenda che li ha posti all’attenzione dei media, ma che ha toccato nel profondo chi di noi l’ha seguita. Il presidio nasce perché il loro posto di lavoro è stato messo in discussione a seguito di un parziale cambio di appalto avvenuto ai primi di giugno. La nuova cooperativa subentrata, infatti, era disponibile ad impiegare solo una parte degli occupati, ma a patto che accettassero condizioni di lavoro peggiorative con diminuzione di 13ª mensilità, il non pagamento dei primi tre giorni di malattia, l’imposizione di una sorta di cottimo individuale (un numero stabilito di colli l’ora). Per chi non raggiungeva la quantità imposta, la sanzione era un trasferimento dove la cooperativa ha altre attività, a circa 1000 chilometri. È anche il racconto di donne e uomini di sedici etnie diverse che, nonostante tutto, nutrono speranza e fiducia che la loro storia possa avere una conclusione positiva. “Il Giorno” del 28 luglio riporta che nella giornata precedente, davanti ai cancelli della GS Carrefour di Pieve, i lavoratori in presidio hanno saputo che i loro colleghi che hanno accettato, in condizioni al massimo ribasso, di entrare nella cooperativa subentrata nel subappalto GS (La Gioventù), hanno avuto il pagamento delle mensilità arretrate, di competenza della vecchia cooperativa (coop. RM), mentre a loro non è stato erogato nulla. La rabbia è esplosa, anche perché la setti- mana precedente le telecamere di LA7 avevano ripreso i responsabili RM che distribuivano il cedolino della busta paga. Peccato che, in realtà, non era stato effettuato alcun versamento! Sono persone semplici, ma non sfugge loro una cosa evidente: “Forse la vicenda di Pomigliano ha offuscato la nostra (data l’importanza dei numeri e della Fiat), anche se la situazione è simile; o forse, quando si tratta di cooperative, la cosa diventa meno interessante e se ne occupano in pochi.”. Questi lavoratori ricordano la vicenda dei lavoratori dell’Innse che, nello stesso periodo di un anno fa, avevano evitato che la proprietà vendesse l’azienda, in utile, e che loro rimanessero senza lavoro. “La nostra storia è, in qualche modo, peggiore. Infatti, nei magazzini GS/Carrefour l’attività continua in piena regola, anche se senza di noi, sempre con lo stesso appaltatore, il Consorzio Gemal Servizi, e senza che vi sia stata alcuna crisi”. Quest’ultimo, costituito nel 2009 e con un capitale sociale di 30.000 euro, ha subappaltato alla Cooperativa Gemal, Consorzio di cooperative che, a sua volta, ha subappaltato alla cooperativa RM, anch’essa costituita da qualche mese. Il motivo principale della decisione della cooperativa, di non avvalersi della loro collaborazione, i lavoratori lo imputano all’essere iscritti alla Cgil da alcuni anni ed al fatto che hanno così sviluppato una cultura sindacale importante, che fa loro rivendicare dignità e diritto allo sciopero. Ma queste cooperative non accettano lavoratori “di questo tipo”, prediligendo lavoratori non tutelati e ricattabili. Si pensava che la committente GS pretendesse prezzi inferiori per pagare il lavoro di logistica e che la nuova cooperativa dovesse andare incontro a questa esigenza! Notizia verificata come non vera. Certo, se i passaggi da uno diventano tre o più, è probabile che chi sta al termine della catena non abbia una remunerazione “sufficiente” del lavoro in forza del contratto di appalto e cerchi di scaricare una parte dei costi, o minor diritti, sui lavoratori. Alla notizia del cambio di appalto, sono iniziate le trattative sindacali per il subentro, ma senza esito: la cooperativa chiedeva il consenso del sindacato al licenziamento di 25 soci, ma senza l’utilizzo dei criteri di scelta previsti dalla legge. Quando la cooperativa ha compreso che, attraverso l’intervento sindacale, non avrebbe potuto fare nulla di ciò che voleva, ha cominciato a lamentarsi di non poter avere un rapporto diretto con i lavoratori e dell’impossibilità di esercitare il proprio ruolo di responsabilità. “Ci aspettavamo che sarebbe successo tutto questo, anche se non avevamo avuto problemi in diversi cambi di appalto precedenti .” Già a febbraio, c’erano state le prime lamentele sulla produttività che doveva aumentare e i capi avevano cominciato a dare dei “lavativi” ad alcuni di loro; c’erano state minacce di trasferimento in altre regioni e un esercizio del potere ostentato per far capire “chi era il più forte” e di quali agganci, economici e politici, potesse avvalersi la nuova cooperativa. Nella maggior parte dei casi, questi soci lavoratori sono nello stesso impianto da parecchi anni e chi di loro ha lavorato precedentemente in un’azienda si è subito reso conto della diversità di tutele dei lavoratori. Domandano: “perché la legge permette alle cooperative di chiudere dopo uno o due anni di attività con facilità estrema, nonostante il lavoro continui ad esserci e il fatturato anche? Perché, di fatto, si permette che le attività appaltate a società di capitale siano subappaltate a cooperative costituite, per la maggior parte dei casi, per quell’appalto?” La loro sindacalizzazione è cominciata nel 2005, con un altro sindacato confederale che ha portato nel tempo all’applicazione del contratto UNCI. Molti, pur non conoscendone i dettagli, si sono resi conto che garantiva loro meno diritti del contratto precedente e quindi solo un piccolo gruppo di lavoratori lo ha accettato. Da allora, arriviamo al 2007, molti si sono nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 19 In linea iscritti alla Cgil, anche se la piena fiducia nel nostro sindacato arriverà solo nel 2009, periodo nel quale si cerca concretamente di far applicare alla cooperativa le regole previste dal contratto nazionale. Ci ripetono sempre che le persone, anche nel sindacato, fanno la differenza. “Siamo grati a chi ci segue da più di un anno e ci rendiamo conto che nel comprensorio di Pavia non sono sufficienti i funzionari che attualmente ci sono e che sarebbero necessarie più forze, per poter seguire le molteplici situazioni uguali alla nostra”. Parlano poco delle loro situazioni familiari, ma c’è “la forte preoccupazione che, alla ripresa della scuola, non si possa dare ai figli tutto il necessario e forse nemmeno accompagnarli in macchina, perché la benzina costa, e poi ci sono le bollette, il mutuo, i piccoli prestiti”, tutto quello che era stato costruito, convinti di avere un lavoro stabile. Continuano ad avere fiducia e certezza di potercela fare, consapevoli di non essere passati dalla parte del torto anche nei momenti più delicati e di non aver ceduto a provocazioni. Gli stessi parenti ed amici, che comunque li sostengono, sono perplessi sull’utilità del presidio permanente. Non mancano i momenti di sconforto, in cui si sentono abbandonati e ricordano il Sindaco di Pieve che aveva dichiarato che si sarebbe incatenato con loro e che nessuno ha più visto. Ci dicono che il Giudice “non può non essere dalla nostra parte”. Recriminano “sulla mancanza di unità tra le diverse categorie di lavoratori presenti all’interno del loro magazzino e ritengono che se ci fosse stato un lavoro comune, la cosa sarebbe stata forse risolta, anche se c’è stata comunque la presa di posizione di altri sindacati e l’appoggio ad alcune nostre iniziative”. Invece, è assente la solidarietà di chi (nella guerra tra poveri che le controparti sanno bene innescare), il proprio posto di lavoro non lo sente in pericolo. Tra chi ha accettato di andare nella nuova cooperativa, con le condizioni imposte, qualcuno cerca di dimostrare un po’ di solidarietà, ma solo con le parole. Infatti, tutti hanno paura e nessuno vuole esporsi, anche perché c’è la certezza che qualcuno faccia “la talpa” e vada a riportare tutto ai capi. Già alla fine di agosto sono arrivati i primi licenziamenti (10 lavoratori) per ricordare che chi non si sottopone ai ritmi massacranti, pretesi dall’appaltatore, perde il proprio posto di lavoro. Non vi è molta fiducia verso i vecchi com- pagni di lavoro, nella convinzione che nessuno di loro si lamenterà delle nuove e peggiori condizioni di lavoro. Il 30 luglio c’è stata l’udienza presso il Tribunale di Milano, per il ricorso d’urgenza presentato dalla Filt e il 3 agosto il Giudice si è pronunciato completamente a favore dei 62 lavoratori: ne ha ordinato la riammissione al lavoro presso la stessa sede di Pieve Emanuele. È una grande vittoria di lavoratori e lavoratrici, che con tenacia hanno presidiato per due mesi l’azienda e non hanno abbandonato la speranza di farcela e della Filt che li ha sostenuti e consigliati. L’assurdo è che i lavoratori, il 5 agosto, rientrano come soci nella cooperativa che era uscita dall’appalto e che quindi non ha alcuna attività. Un gioco delle parti nella filiera delle imprese e cooperative coinvolte per disattendere la sentenza del Giudice. Il 20 agosto si è svolta l’udienza per il ricorso presentato (comportamento antisindacale) ed anche qui il Giudice si è pronunciato a favore dei lavoratori e ha condannato la Cooperativa RM per antisindacalità, sia per i licenziamenti effettuati per ritorsione sindacale, sia per la sospensione cautelare a tempo indeterminato del rappresentante sindacale che aveva osato protestare contro le dimissioni “estorte” ad una parte dei lavoratori sotto la minaccia di essere mandati via e perdere il lavoro. Intanto il committente GS/Carrefour continua a far finta di nulla in una serie di contraddittorie e assurde prese di posizioni quali “noi siamo parte lesa”, “i lavoratori non sono nostri dipendenti”, “agiremo come mediatori tra le parti”. “La Melfi del Nord”: così ormai è chiamata sui giornali la vicenda dei 62 lavoratori di Pieve Emanuele. Dal 27 agosto, dopo il blocco della merce in entrata, hanno dedicato decine di articoli, portando alla luce, finalmente, il gioco di scatole cinesi che cooperative e consorzi, col beneplacito dei committenti, attuano da anni. I lavoratori, nel frattempo, hanno attivato insieme a noi diverse iniziative, fra cui quella eclatante della “finta spesa proletaria”. Almeno una quarantina di soci sono entrati nel punto vendita Carrefour di Assago e, dopo aver riempito i carrelli con generi di prima necessità, hanno chiesto alle casse prima e alla direzione del supermercato poi di poter prendere le spesa come acconto dei tre mesi senza retribuzione. Siamo, infatti, arrivati ad una situazione di disperazione, che ci ha fatto avviare un appello urgente di solidarietà, per raccogliere soldi e generi alimentari da consegnare alle 62 famiglie. Negli incontri più recenti in Prefettura, con la presenza della CGIL milanese e lombarda, la beffa è stata la reiterata proposta di reintegrare 26 lavoratori. E gli altri 36? Forse una parte in un appalto fantasma in Piemonte. Come se fossero liberi professionisti o colli da spostare da un territorio ad un altro. L’unico ad avere ascoltato con attenzione e grande rispetto la loro storia, raccontata da una delegazione di lavoratori e sindacalisti della Filt, è stato il Cardinale Tettamanzi che ha promesso, attraverso Mons. Monti, un intervento concreto a sostegno dei lavoratori ed ha espresso tutta la propria “preoccupazione per il modo infangante con il quale, dietro finte cooperative, si nascondono in realtà condizioni di sfruttamento che gettano ombra sull’operato nobile dell’autentico movimento cooperativo”. ____________________________ Mentre andiamo in stampa, apprendiamo che la sera del 17 settembre, presso la Prefettura di Milano, è stato raggiunto l’accordo per la riassunzione dei 62 lavoratori/lavoratrici. Il testo dell’accordo e la storia della vertenza sono consultabili sul sito www.filt.lombardia.it. 19 nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 20 La legalità è In linea un impegno di tutti di Annalia Farina, Segretaria Filt-Cgil Lombardia I N L I N E A Alla cessazione di attività, al fallimento, al ricorso alla messa in mobilità dei lavoratori fa seguito, quasi immediatamente, l’apertura di un’altra impresa che riassume gli stessi lavoratori licenziati ed in mobilità, al solo scopo di lucrare sulle agevolazioni previste e guadagnare un vantaggio economico consistente ed un notevole abbattimento del costo del lavoro, in frode alla legge. 20 Da mesi la nostra Organizzazione è impegnata su molti fronti, consapevole di muoversi all’interno della più grande crisi dal dopoguerra. Gli ultimi dati sulla cig, che aumenta complessivamente del 90% rispetto al precedente anno, così come quello dei licenziamenti, ci confermano l’estrema difficoltà di questo momento. Mentre la Germania, nel secondo trimestre del 2010, mette a segno una crescita congiunturale del 2,2%, rispetto allo 0,5% sempre con- giunturale del primo trimestre 2010 e mentre il Regno Unito cresce dell’1,1% (+0,3% nel primo trimestre), il nostro Paese fa segnare nei dodici mesi il tasso di crescita più basso, all’1,1%. (Dati Ocse). I numeri confermano che in Italia la crisi continua a “mordere”, con ricadute sulla produzione e sull’occupazione anche a lungo termine. Completati i periodi concessi dagli ammortizzatori sociali, assistiamo in molti casi alla fase delle ristrutturazioni, con l’espulsione di moltissime lavoratrici e lavoratori dal mondo del lavoro. Tutto questo è affiancato da una politica industriale sempre più assente, senza un criterio di lungo respiro, da scelte di governo che, invece di supportare gli investimenti, l’innovazione, la ricerca, tagliano drasticamente, impoverendo nei fatti l’intero sistema, oltre a gravare duramente solo su parte della cittadinanza. Anche la poca ripresa che si avverte, in mancanza tra l’altro di un vero progetto per il paese, si presenta in molti casi come una “jobless recovery”, un recupero senza lavoro. D’altra parte, il lavoro e l’uscita dalla crisi sembrano proprio non essere in agenda per il Governo, visti anche i 5 punti del programma da poco comunicati dalla “maggioranza”: Federalismo Fiscale, Fisco, Mezzogiorno, Giustizia, Sicurezza. Come si può facilmente notare, il problema del lavoro non è nemmeno sfiorato. Nel quadro che resta drammatico, assistiamo a fenomeni di deindustrializzazione pesante e, in non pochi casi, a spregiudicate politiche di esternalizzazione e delocalizzazione della produzione da parte di alcune imprese. Questo non può non avere come conseguenza, quello che ha sottolineato il Prof. Sergio Bologna, cioè un forte rallentamento del settore “servizi alle imprese”. Le imprese, per fronteggiare la crisi, ricorrono alla riduzione dei costi attuando politiche di contenimento, nel complesso, legittime. Alle volte, invece, ricorrono ad azioni ai limiti della legalità e della concorrenza sleale, se non addirittura a vere e proprie azioni truffaldine, alla ricerca di profitti sempre più alti e nella violazione totale dei diritti di chi lavora per loro. Per quanto riguarda i settori seguiti dalla Filt-Cgil, il Trasporto Merci, la Logistica e la Cooperazione sono quelli che stanno pagando di più la crisi. Fin dall’inizio la Filt Lombardia si è fatta promotrice verso le Rappresentanze Datoriali del settore, laddove è stato possibile, per costruire ed utilizzare strumenti di intervento idonei ad escludere l’interruzione del rapporto di lavoro, (uno per tutti l’Osservatorio nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 21 In linea Regionale Merci) e garantire il rispetto dei diritti e della legalità. Non basta. Occorre tenere ben presente che, in Regione Lombardia, sono presenti le più importanti imprese logistiche, di spedizione e di autotrasporto. Inoltre, i processi di esternalizzazione, già citati, di parti del ciclo produttivo e la presenza nelle filiere delle attività industriali, commerciali, dei servizi, hanno visto crescere notevolmente la presenza, anche attraverso un sovrapporsi di subappalti, di imprese e cooperative, dando luogo più facilmente all’utilizzo di pratiche quanto meno scorrette. È avvenuta una crescita non governata delle cooperative negli ultimi 10 anni e l’assenza di centri logistici e intermodali, ormai collocati sulle direttrici fuori dalla Lombardia, ha contribuito a creare una rete di imprese, diffuse sul territorio, che impediscono qualunque presenza del sindacato, che disdegnano l’appartenenza alle Associazioni di Categoria e, in alcuni casi, sfuggono anche al controllo delle istituzioni preposte alla vigilanza e al rispetto della legge. Questa situazione è da tempo all’attenzione della CGIL Regionale e della Filt Lombardia perché, in questi settori, molto più che altrove, vi è il grave rischio che il perdurare della crisi generi tra le molte conseguenze anche comportamenti poco trasparenti o fuori dell’alveo normativo. Questi comportamenti, se da una parte sono duramente lesivi nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori coinvolti nei processi critici, dall’altra generano forti distorsioni del mercato e favoriscono una feroce concorrenza sleale a danno delle imprese maggiormente “virtuose”. Trovandoci di fronte ad una filiera di questo tipo, quindi, riteniamo indispensabile un approccio non solo di categoria, ma fortemente confederale, nel dotarci sempre più di una somma di competenze, di un agire e di un modello complessivo di relazioni sindacali, pronto ai mutamenti continui ed attento e presente, con il preciso scopo di prevenire le inevitabili distorsioni. È ferma volontà della Filt Lombardia, di concerto con la Cgil Regionale, continuare nell’azione sindacale fin qui messa in atto, costruendo una rete diffusa, particolarmente nei consorzi e nelle cooperative, di delegate e delegati, attrezzati e consapevoli, che punti a costruire un approccio al mondo della cooperazione che tenga conto delle reali condizioni di lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori e, soprattutto, della preoccupante presenza di cooperative “spurie” che ha raggiunto l’80% nella nostra regione. Non solo, vogliamo andare più in là e realizzare un’azione capillare, in tutti i territori della regione, anche per evitare tutti i possibili effetti di dumping sempre presenti. Abbiamo purtroppo riscontrato, accanto a comportamenti corretti e perfettamente rispondenti a lineari pratiche imprenditoriali, modalità di utilizzo degli ammortizzatori sociali non coerenti con la corretta applicazione delle procedure previste dalla legislazione vigente. In tali casi, alla cessazione di attività, al fallimento, al ricorso alla messa in mobilità dei lavoratori ha fatto seguito, quasi immediatamente, l’apertura di un’altra impresa che ha riassunto gli stessi lavoratori licenziati ed in mobilità, al solo scopo di lucrare sulle agevolazioni previste e poter così guadagnare un vantaggio economico notevole ed un altrettanto notevole abbattimento del costo del lavoro, in frode alla legge, nuocendo enormemente ai lavoratori, apportando un grave danno alle aziende concorrenti e perpetrando gravi truffe nei confronti della collettività. Allo scopo di prevenire e contrastare ogni possibile uso distorto o illegale degli ammortizzatori sociali e degli incentivi previsti, che diventa poi elemento di alterazione della competizione sul mercato per le imprese che se ne avvantaggiano e danno pesante per i lavoratori, la Filt Lombardia e la Cgil Regionale, oggi più che mai, intendono impegnarsi, utilizzando con il maggior rigore possibile tutti gli strumenti e le procedure per impedire che si realizzi un uso non corretto o fraudolento di ogni norma o procedura di legge, orientando in tal senso l’agire sindacale. Hanno così deciso di rendere pubbliche le proprie posizioni, inviando alle Controparti datoriali ed a tutte le Istituzioni coinvolte una lettera aperta in cui hanno dichiarato esplicitamente le procedure e i comportamenti che adotteranno. È prioritario che nel nostro quotidiano ci si attenga a procedure di verifica e di controllo puntuale, a partire dal momento in cui si riceve la comunicazione di apertura di procedure e anche successivamente all’accordo, per individuare chi ha riassunto parte o tutto il personale sospeso ed in quale attività esso sia impiegato, valutando ogni documentazione, fatto o atto che possa servire ad accertare e denunciare eventuali abusi. Di più, la Filt Lombardia e la Cgil Regionale sono intenzionate ad attivarsi nelle sedi più opportune per segnalare gli abusi di cui si verrà a conoscenza, sollecitando gli Organismi istituzionali e gli Enti Ispettivi. Se per il sindacato è di estrema importanza un approccio fortemente confederale nel rigore e nella trasparenza delle azioni, solo con la sinergia di tutti gli attori interessati è possibile contrastare operazioni pericolose ed illegali, che possono trasformare il grave periodo di crisi in occasioni per mettere a punto strategie per lucrare, che finiscono per danneggiare tutta la collettività senza esclusioni. 21 nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 22 Finalmente la stabilità per i lavoratori di Sacbo In linea I N L I N E A di Cesare Beretta, Segretario Generale Filt-Cgil Bergamo 22 Il 17 giugno 2010, presso l’Unione Industriali di Bergamo, è stato sottoscritto il Protocollo d’Intesa di stabilizzazione dei precari che da anni lavoravano per Sacbo, la società che gestisce l’aeroporto di Orio al Serio (BG) in somministrazione per conto di un’agenzia interinale. In un contesto occupazionale ancora nero per il territorio Bergamasco, dove si continuano a perdere posti di lavoro, dove la cassa integrazione la fa da padrona, dove sono in continua crescita i ricorsi alla mobilità e gli ammortizzatori sociali non riescono più a reggere la domanda, la Filt e la Cgil di Bergamo, unitamente alla categoria Fit-Cisl ed al suo confederale, riesce a siglare in piena controtendenza, un importante accordo sull’occupazione. La Uil si è accodata solo al momento della firma. Nell’accordo si stabilisce che 60 di questi lavoratori, attualmente utilizzati nelle unità passeggeri e operazioni voli (alcuni precari da oltre 5 anni), sono finalmente assunti a tempo indeterminato. I primi 40 a decorrere dal primo ottobre 2010 e i restanti 20 dal primo gennaio 2011, quasi tutti in continuità di part-time di 6 ore lavorative. Inoltre, Sacbo ha assunto ulteriori 30 lavoratori a tempo determinato per la stagione estiva 2010 e, per il futuro, si è impegnata a ricorrere ordinariamente ai contratti di lavoro a tempo determinato. Si è data disponibile anche a valutare, in due incontri annuali preventivi ai picchi stagionali estivo e invernale, le effettive esigenze del lavoro per garantire il servizio, previa informativa alla RSU. Molto stringente è stato il ragionamento proposto dalla Filt all’azienda. Nel 2006, a fronte di 4,5 milioni di passeggeri transitati dall’aeroporto, i dipendenti complessivamente utilizzati sono stati 541: 100 soci di cooperativa, 65 interinali, 376 dipendenti diretti di Sacbo. Nel 2009, a fronte di 7,8 milioni di passeggeri, i dipendenti complessivamente utilizzati sono stati 480, rispettivamente 70 soci, 45 interinali e 365 dipendenti Sacbo, con un risultato finale di un’economia a favore dell’azienda di 61 lavoratori, rispetto ad un incremento di passeggeri pari a un più 73%. I raffronti non tengono conto delle modifiche organizzative e produttive che hanno, in qualche misura, ridotto alcuni carichi di lavoro. In assenza di riorganizzazioni conseguenti alle scelte del maggior vettore Ryan-Air, il sindacato avrebbe avuto pieno titolo a richiedere ben altra occupazione. Positivi i commenti di entrambe le parti. Per Sacbo “l’accordo permette di soddisfare le esigenze operative dello scalo e rendere stabile la posizione di figure professionali con caratteristiche rispondenti ai bisogni, in un contesto che necessita di opportune competenze per garantire la continuità degli alti livelli di efficienza conseguiti nel corso degli anni e riconosciuti all’aeroporto di Orio al Serio”. Da parte sindacale sono stati sottolineati 3 aspetti: “la centralità del lavoro e della crescita occupazionale; l’attenzione allo sviluppo sostenibile; il ruolo di volano svolto dall’aeroporto a supporto dell’attrattività del territorio e per la sua crescita economica”. La rilevanza di questo accordo è data dal contesto economico produttivo in cui la trattativa si è sviluppata. Parliamo di un aeroporto che si colloca al terzo posto in Italia per passeggeri (ha superato Linate da poche settimane) e merci e che rappresenta un’opportunità decisiva per le scelte localizzative di multinazionali, di imprese industriali e di servizi. In una provincia in cui permangono forti deficit e ritardi, aggravati dalla continua crescita della domanda di trasporto, logistica e comunicazione, occorre mettere al centro un progetto di sviluppo sostenibile attraverso piani di governo del territorio che puntino all’incremento di questi settori. A tale scopo, è richiesto un impegno straordinario delle Amministrazioni Pubbliche per realizzare le infrastrutture necessarie ad una migliore accessibilità dello scalo. In questo panorama, a Sacbo l’onere di assicurare attenzione alla sostenibilità delle attività aeroportuali nel rispetto dell’ambiente. Ad un’impresa tecnicamente molto valida e all’avanguardia nel Paese, che fa oltre 11 milioni di euro di utili, è richiesto di mettere i propri dipendenti in condizione di lavorare bene, in un clima in cui il rispetto e la dignità della persona abbiano sempre un ruolo centrale. Noi come Filt, consapevoli del ruolo dell’aeroporto, siamo sempre stati attenti alle esigenze aziendali, cercando di coniugarle con i diritti e le tutele dei lavoratori che vogliamo rappresentare al meglio. Auspichiamo che questo accordo, frutto di un lavoro minuzioso e paziente, durato molti mesi, sia una prima tappa nel percorso di comune impegno costruttivo per realizzare progetti sempre più innovativi ed importanti nell’interesse di tutti. Come non ricordare, a chiusura di questo articolo, il “Manager che ha fatto volare l’aeroporto”, l’ingegnere Ilario Testa recentemente scomparso? Orio al Serio è stato l’ultimo capolavoro di una vita frenetica, iniziata alla Dalmine a 14 anni, dove da semplice impiegato è arrivato ad Amministratore Delegato, proseguita in Argentina dove ha lasciato l’impronta della sua indiscussa professionalità. Ilario Testa ha riversato l’esperienza maturata in quarant’anni alla Dalmine nella realizzazione del suo grande sogno: far nascere dal nulla un capolavoro che oggi si chiama Orio al Serio. Nei suoi 15 anni di Presidente della Sacbo, oltre alle sue qualità manageriali, che gli hanno valso la laurea honoris causa in ingegneria gestionale, ha affascinato il mondo imprenditoriale, politico e del lavoro per le sue doti non comuni di umanità, moralità e amore per la cultura. Ricorderò l’ingegnere Ilario Testa come una persona che al rigore univa l’attenzione alle persone e che onorava sempre la parola data e gli impegni presi. Era un vero signore, direi di altri tempi, come non ce ne sono più. nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 23 Più spazi verdi e servizi per Milano Spazio Aperto di Oliviero Baccelli La valorizzazione per investimenti in nuove infrastrutture degli effetti economici derivanti dal recupero di aree ferroviarie dismesse Tipologia di aree dismesse Tipologia di effetto economico Asset lineari: Raccordi ferroviari o tratte lineari Economia dei trasporti Economia urbana e immobiliare ☺ ☺ ☺ = difficilmente valorizzabile in finanziamenti per investimenti ☺☺ = facilmente valorizzabile in finanziamenti per investimenti Asset spaziali: Scali merci, aree di composizione e scomposizione treni, aree di deposito locomotori ☺ ☺☺ Il simbolo ☺ è utilizzato per favorire una prima chiave di lettura della rilevanza dei fenomeni economici. Infatti, aiuta a comprendere l’effettiva possibilità di trasferire nel finanziamento di nuovi interventi ferroviari la valorizzazione economica generale derivante dai benefici economici di tipo trasportistico (quali, ad esempio, i risparmi di tempo derivanti dal miglioramento del sistema dei trasporti o, nel secondo caso, la riduzione nei costi di gestione del sistema di trasporto pubblico locale) e di tipo immobiliare (miglioramento dell’accessibilità di un’area o messa a disposizione di aree valorizzabili). Gli effetti trasportistici Rispetto agli effetti di economia dei trasporti, le aree dismesse possono essere valutate, tenendo conto dei seguenti aspetti relativi alla viabilità e rispetto al trasporto pubblico e ai servizi ferroviari in termini di: a) aumento della capacità di deflusso grazie alla riduzione delle interferenze fisiche con la rete stradale locale; b) incremento delle Origini/Destinazioni possibili e di migliori assegnazioni di percorso dei pedoni, dei ciclisti, dei veicoli e dei mezzi pubblici; c) minori costi di produzione dei servizi su gomma attuali grazie all’aumento della velocità commerciale dovuta alle minori percorrenze o alle migliori integrazioni fra linee; d) potenziale riduzione della congestione stradale grazie alla domanda attratta dalle nuove o ammodernate infrastrutture ferroviarie finanziate attraverso l’accordo Comune - FS. In particolare, rispetto a quest’ultimo punto è rilevante cogliere la portata degli eventuali effetti derivanti dall’incremento dei servizi ferroviari regionali in termini di policy dei trasporti e della mobilità in ambito regionale e del relativo costo economico a carico del bilancio della Regione. In sintesi, le difficoltà nel trasferire in finanziamenti di nuove infrastrutture ferroviarie i benefici economici di carattere trasportistico sono evidenti, perché di tipo generale, a vantaggio cioè di un’ampia collettività, e non facilmente monetizzabili, se non attraverso forme di pedaggio in grado di produrre effetti distortivi rispetto ad altre aree all’interno della stessa città e, pertanto, non in grado di ottenere il consenso politico degli Enti Locali. S PA Z I O L’obiettivo di queste riflessioni è quello di evidenziare le opportunità e le criticità dei tentativi di creare valore economico dal recupero delle aree ferroviarie dismesse, come sta lentamente avvenendo a Milano, dove sono disponibili aree di grandi dimensioni in punti strategici della città, oggi spazi inaccessibili, che vanno restituiti all’uso urbano per riconnettere quartieri separati dalla ferrovia e crearne di nuovi. L’idea di fondo è quella di rimarcare gli aspetti di metodo del tema, in modo da indicare come attivare quel circuito virtuoso necessario per poter disporre anche di nuovi finanziamenti per lo sviluppo della rete e dei servizi ferroviari nelle regioni interessate dai processi di riconversione urbana. Quest’ultimo aspetto è fondamentale per poter rispettare gli accordi sottoscritti nel 2008 fra il Comune e il Gruppo FS che riguarda aree per circa un milione di mq. Una prima lettura di tipo matriciale permette di evidenziare quali sono gli elementi centrali per comprendere come sia necessaria una visione sistemica delle aree, che tenga cioè conto delle diverse forme di compensazione e perequazione fra aree all’interno del comune. A P E R T O Considerazioni economiche in merito al recupero delle aree ferroviarie dismesse a Milano, di grandi dimensioni e in punti strategici della città, oggi spazi inaccessibili, che vanno restituiti all’uso urbano per riconnettere quartieri separati dalla ferrovia e crearne di nuovi. Gli effetti sul mercato immobiliare Gli effetti sul mercato immobiliare possono essere raggruppati in tre classi: 1) effetti diretti sulla disponibilità di risorse immobiliari; qui il focus è sulle risorse – suoli e fabbricati – che sono dismessi, totalmente o parzialmente oppure che sono riutilizzati, se già in uso o dismessi, o utilizzati per la prima volta; 2) effetti indiretti sulle risorse immobiliari esistenti; qui il focus è sulle variazioni delle esternalità reali – in primo luogo riduzioni o incrementi dell’impatto negativo del traffico di attraversamento – imputabili in particolare alla 23 nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 24 S P A Z I O A P E R T O Spazio Aperto 24 diversione dei percorsi o alla presenza delle nuove imponenti infrastrutture; 3) effetti di integrazione sulle risorse immobiliari esistenti; qui il focus è sulla variazione dell’accessibilità locale, regionale e nazionale delle diverse zone che compongono l’area di studio, derivanti dai miglioramenti degli asset delle infrastrutture ferroviarie. Evidentemente, gli effetti del primo tipo sono quelli che attengono all’uso delle risorse immobiliari urbane, prevalentemente collocate nelle aree di maggior pregio o a maggiore potenzialità di valorizzazione, e per le quali s’impone l’elaborazione di piani strategici di recupero di ampio respiro (ad esempio, nel caso di Milano per le ipotesi di riutilizzo dell’ampia zona dell’attuale stazione di Porta Genova o di parte dello Scalo Farini). Fra queste aree prevalgono certamente quelle attualmente legate alle stazioni e alle aree ferroviarie di supporto al sistema (cabine dei gruppi elettrogeni, aree di composizione e scomposizione treni, parchi ferroviari merci). Ma vi sono da comprendere anche quelle tratte di collegamento allo scoperto, come nel caso della tratta fra San Cristoforo e Porta Genova, sebbene per queste ultime le ipotesi di riutilizzo, se non per migliorare la viabilità locale, siano assai più limitate, tanto che alcune iniziative suggeriscono di utilizzare la tratta fra San Cristoforo e Porta Genova per realizzare una nuova opera di canalizzazione e costituire una via d’acqua per ampliare l’attuale ruolo dei Navigli. Gli effetti del secondo tipo consistono principalmente nella valorizzazione degli edifici oggi esposti agli effetti negativi del traffico di attraversamento, e all’eventuale deprezzamento di quelli che lo saranno in futuro. In questo secondo caso, un’attenta pianificazione del territorio può contribuire ad identificare delle opportunità dove lo sviluppo precedente non guidato aveva generato solo criticità, come nel caso delle aree di Greco. Infine, gli effetti di integrazione imputabili all’accresciuta accessibilità delle zone consistono principalmente nell’individuazione di nuove potenzialità o nella previsione di modificazioni delle esistenti e nell’eventuale redistribuzione spaziale delle attività presenti. Questo tipo di effetti non è chiaramente spontaneo, ma deve essere promosso da politiche di accompagnamento di tipo urbanistico e territoriale di aree ben specificate, che richiedono un forte coordinamento ed integrazione di tutte le iniziative e gli interventi nelle varie fasi di progettazione, realizzazione e gestione. Tutti questi tipi di effetti sono suscettibili di indurre modifiche anche sensibili sul valore degli immobili, sugli usi dei suoli, sulle convenienze relative degli investimenti pubblici e privati. Una visione di sintesi La lettura matriciale suggerita sottolinea come solo una tipologia di effetti economici, quella di tipo immobiliare derivante dalla disponibilità di asset spaziali, sia effettivamente in grado di generare valori di tipo economico trasferibili in finanziamenti per nuove infrastrutture e servizi ferroviari. Le altre tre caselle della matrice evidenziano come gli effetti economici siano presenti e in alcuni casi possono essere anche molto rilevanti, ma la reale possibilità di trasferire questi effetti economici in forme di finanziamento è nulla, a meno di creare effetti distorsivi rispetto ad altri contesti. La sintesi di questo approccio al tema suggerisce di affrontare la questione aree ferroviarie dismesse in modo sistemico, in modo che gli indici di edificabilità, cioè gli elementi sintetici che permettono la generazione di valore economico destinabile al finanziamento delle nuove opere ferroviarie, tengano conto delle oggettive difficoltà di “catturare la rendita” in tre casi su quattro delle tipologie di aree dismesse. Lo strumento più semplice da utilizzare è quello di considerare le aree ferroviarie dismesse di un comune o di un’area omogenea per caratteristiche socio economiche e urbanistiche all’interno di un comune come la somma delle singole aree e non considerarle come elementi urbanistici differenziati e senza legami. In questo scenario, la “cattura della rendita” non è comunque scontata, tenendo conto dei costi di bonifica delle aree, dei vincoli alla destinazione d’uso di molto manufatti di tipo ferroviario e dei valori immobiliari del contesto. Le difficoltà di successo anche di ambiziosi progetti di riconversione di aree in forte prossimità di contesti valorizzati da una nuova accessibilità derivante dal completamento di importanti interventi ferroviari, come nel caso del quartiere Santa Giulia sorto a fianco della stazione di Rogoredo, sottolineano la necessità di affrontare il tema delle aree ferroviarie dismesse con l’ottica anche di ridurre i possibili rischi immobiliari amplificati da ottiche meramente speculative di breve periodo. Infatti, l’equazione miglioramenti nel sistema trasportistico uguale valorizzazioni immobiliari non è scontata. La necessità di strumenti urbanistici flessibili, che garantiscano la reale fattibilità degli interventi in tempi rapidi e in modo sincrono, è un elemento centrale nelle strategie di riconversione delle aree. Inoltre, è opportuno valorizzare al massimo la capacità di trasporto del sistema ferroviario, permettendo la localizzazione dei grandi attrattori di traffico (sedi di grandi uffici pubblici e privati, ospedali, complessi universitari) nelle immediate vicinanze delle stazioni ferroviarie esistenti e previste attraverso policy che favoriscano le densificazione urbanistica. Anche la mitigazione del rischio, attraverso la possibilità di predisporre un mix di edifici con funzionalità diverse e complementari, risulta importante per il successo delle iniziative, che va misurato in termini sia economici classici sia di miglioramento della qualità della vita a Milano. È chiaro a tutti che l’equilibrio ottimale fra le esigenze delle città e del sistema ferroviario si ottiene solo evidenziando e condividendo in maniera esplicita gli obiettivi perseguiti dalle controparti sin dalle prime fasi della negoziazione. OLIVIERO BACCELLI Vicedirettore CERTeT - Centro di Economia Regionale Trasporti e del Turismo dell’Università Bocconi, e Direttore del Master Universitario in Economia e Management dei Trasporti, della Logistica e delle Infrastrutture. È autore di libri sul tema della mobilità delle merci in Europa, sul trasporto aereo in Italia, sulla portualità e sulle relazioni fra trasporti e territorio, e di articoli scientifici in materia di economia dei trasporti. Coordina e partecipa a numerose ricerche in economia dei trasporti, sviluppo del territorio e impatto socio-economico di grandi opere infrastrutturali per conto di Amministrazioni Pubbliche e grandi imprese. nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 25 Sul futuro di Milano Spazio Aperto incombe un Piano Urbanistico sbagliato e pericoloso di Antonello Boatti La valorizzazione di Milano e della sua area urbana, anche in vista di Expo 2015, può essere affidata a vari interventi, a condizione che essi contribuiscano a migliorare la percezione delle caratteristiche fondamentali (storiche, monumentali, ambientali) della città e che, soprattutto, lascino un’eredità positiva e utile alla città anche dopo la conclusione dei grandi eventi. Il nuovo Piano di governo del territorio (PGT) di Milano è stato adottato e, nonostante gli sforzi dell’opposizione, rimangono gravissime preoccupazioni per il futuro della città. Infatti, le migliaia di emendamenti presentati dalle opposizioni hanno centrato l’obiettivo di parziali modifiche, ma non sufficienti per cambiarlo nella sostanza. La battaglia continua ma diventa più complessa e difficile e si sposta sul terreno delle osservazioni. Esaminando la struttura del piano appare innanzitutto confermata una rigida configurazione radiocentrica della città senza alcuna prospettiva di sviluppo verso la formazione di un’area multipolare e vasta, quando tutti gli esempi di città europee funzionali ed efficienti si presentano governate da aree metropolitane a carattere intercomunale. Infatti, la compressione a Milano di tutte le attività nel territorio comunale (peraltro assai ristretto in termini di superficie) genera la scarsità di spazi liberi e verdi che sono confinati ormai ad ovest e a sud, nel territorio agricolo. Le tangenziali, troppo a ridosso del territorio urbanizzato, stringono d’assedio la città e richiedono una svolta verso la città multipolare. La città metropolitana è la prima indispensabile cosa da fare, quindi, non solo per governare il territorio, ma far vivere meglio Milano e tutta l’area urbana. Nulla di questo è contenuto nel PGT e, anzi, provvedimenti collaterali importanti come Expo 2015, il tunnel Molino Dorino-Linate e lo stesso Ecopass accentuano le caratteristiche negative dello schema di funzionamento della città. L’assenza di un progetto per l’area metropolitana è aggravato dalle dimensioni demografiche che il piano vuole dare alla città di Milano in un arco di tempo sproporzionato e in contrasto con la stessa legge urbanistica regionale: si pensi che, secondo la legge, il Documento di piano dovrebbe avere validità quinquennale, il PGT invece ha l’ambi- zione di valere addirittura per trenta anni! Le quantità di progetto dichiarate all’interno del PGT nell’arco di validità del piano prevedono per Milano uno scenario inquietante: al 2030, 1.787.637 abitanti! La previsione di PGT prevede un incremento di popolazione folle, quasi mezzo milione di abitanti in più (una città più grande di Bologna calata dentro la Milano attuale!): una previsione che si scontra, non solo con la reale capacità della città di accogliere nuovi abitanti, ma anche con la possibilità di offrire ai futuri abitanti una qualità abitativa che si fondi su principi di equità sociale, in termini di servizi alla persona e di sostenibilità ambientale con indici edificatori ammissibili e una crescita in altezza contenuta. La capacità insediativa ritenuta ammissibile per Milano in un intervallo temporale di dieci anni è stimabile al massimo intorno a 1.450.000 abitanti/vani, corrispondente a un incremento massimo di 140.000 nuove unità abitative. È legittimo chiedersi per chi sono pensati questi massicci interventi edilizi. Sostanzialmente i grandi quartieri, che dovrebbero sorgere un po’ dovunque nella città, sono per una popolazione ricca, molto ricca, del tipo di quella che dovrebbe abitare nel lussuoso quartiere Fiera nei piani alti, molto alti di City Life o in quelli ancora più esclusivi di Garibaldi Repubblica, dove la sola visita virtuale, si è letto sui quotidiani, dovrebbe costare diverse migliaia di euro. Grazie alla battaglia delle opposizioni, si è ottenuto che il 5% di alcune aree di trasformazione sia destinato certamente a edilizia sociale. Ma rispetto al fabbisogno reale di case a basso costo è poco più di una goccia nel mare. Non è accettabile poi, anche concettualmente, delegare solo al privato, anche attraverso indici premiali, la costruzione di edilizia rivolta alle fasce sociali più deboli e, nel contempo, trascurare il recupero dei quartieri popolari esistenti e fortemente degradati. Entrambi i temi dovrebbero essere intesi come un servizio pubblico indispensabile, da pianificare con grande attenzione. Il PGT avrebbe dovuto prevedere, per rispondere alla domanda reale di abitazioni, in tutti gli Ambiti di Trasformazione, con destinazione residenziale, quote di edilizia libera non superiori al 30% e quote del 35% di edilizia convenzionata e ancora del 35% di edilizia sociale. Per quanto concerne l’edilizia convenzionata, almeno la metà degli alloggi dovrebbe essere messa in affitto, al fine di invertire la tendenza attuale che ha notevolmente diminuito la componente dell’affitto a favore dell’acquisto di proprietà. Per quanto riguarda l’edilizia sociale, occorre prevedere una parte di edilizia sovvenzionata, finanziata dal pubblico, e una parte di alloggi 25 nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 26 S P A Z I O A P E R T O Spazio Aperto 26 a canone sociale, realizzati dai privati, in modo da rispondere adeguatamente anche alla domanda reale nel suo complesso, tenendo conto anche di quella proveniente dagli studenti fuori sede. Ma non è unicamente il tema dell’abitare a connotare in modo privatistico i contenuti del piano di governo del territorio, che per sua natura dovrebbe, al contrario, tenere dritta la barra dell’interesse pubblico e collettivo. Sulla mobilità e i trasporti i provvedimenti previsti dal piano e da strumenti collaterali, come il piano del traffico, sposano in pieno l’idea di favorire gli spostamenti veicolari privati, come l’assurda Gronda Nord e l’insensato tunnel sotterraneo da Molino Dorino a Linate. Il PGT prevede il completamento e la realizzazione della strada interquartiere meglio conosciuta come Gronda Nord. Nonostante le ripetute bocciature da parte di organi di controllo dello stato e della UE, di un progetto formalmente nato come sommatoria di singoli interventi viabilistici zonali, ma in realtà grande e assai discutibile progetto di scala metropolitana. La gronda Nord assomma in sé, cosi come proposta dal PGT, una serie di gravi difetti come la confusione e la sommatoria dei flussi (spostamenti con origine e destinazione di quartiere, cittadini, provinciali, regionali e nazionali/internazionali), la distruzione di parchi e giardini come quello “delle favole”, l’infittirsi del traffico in corrispondenza delle diverse decine di intersezioni a raso con la rete viabilistica consolidata della città e anche la frattura causata all’identità e all’integrità di borghi e quartieri storici. Si porrebbe, al contrario, l’esigenza di garantire il collegamento est – ovest trasversale rispetto all’impianto radiocentrico tipico della città di Milano, attraverso una linea di forza su ferro e in sede protetta immersa in un parco lineare e costeggiata da una pista ciclabile. Esiste un preciso progetto alternativo che sarebbe in grado di imprimere una svolta rispetto allo schema degli spostamenti casa lavoro studio a Milano, mentre a scala locale si potrebbe provvedere con interventi semplici di razionalizzazione della rete viaria esistente, salvando i parchi e favorendo il recupero delle identità locali dei vecchi quartieri. Così la creazione di un costosissimo tunnel interrato dall’area dell’Expo sino a Forlanini (aeroporto di Linate) appare ingiustificato e controproducente agli effetti della riduzione dell’uso dei veicoli privati a favore del mezzo pubblico. E non rassicura del tutto che l’opposizione ne abbia ottenuto, fortunatamente, lo stralcio dal PGT, vista l’intenzione dell’Amministrazione di riproporlo nel Piano della Mobilità. La città di Milano e la sua area metropolitana necessitano, invece, di provvedimenti di moderazione del traffico e di limitazione dell’uso degli autoveicoli quali: 쐌 la chiusura del centro storico esteso alle Mura Spagnole, con l’eccezione dei residenti e di un ben regolamentato carico e scarico delle merci; 쐌 l’incentivazione dell’uso di mezzi alternativi, in particolare le biciclette attraverso la formazione di nuove piste ciclabili come quella lungo il tracciato della Gronda Nord da trasformare in parco lineare o quella lungo il ritrovato sistema dei Navigli; 쐌 la formazione di aree pedonali; 쐌 la protezione delle principali linee del trasporto pubblico; 쐌 la previsione di linee di metropolitana con origine e destinazione oltre i confini comunali, nell’area provinciale. Un ulteriore intervento importante in questo senso può essere la creazione di un servizio di trasporto pubblico circolare attorno alla metropoli e quindi sostanzialmente corrispondente ai tracciati dei sistemi delle tangenziali in grado di intercettare i tre assi portanti del sistema ferroviario (Milano – Treviglio, San Donato – Paullo, Rogoredo – Lodi). Ma il prevalere di una visione privatistica del Piano emerge anche in modo forte dal modo in cui è stato applicato il principio della perequazione. Milano e il suo territorio sono stati considerati un unico enorme campo di applicazione di commerci virtuali di diritti immobiliari, tra l’altro destinati a interessare il solito giro di immobiliaristi proprietari delle aree del Parco Sud (il cui territorio è tutto inserito nel processo perequativo e quindi paradossalmente produttore non di generi alimentari ma di cemento.) Anche qui la battaglia condotta dalle opposizioni ha consentito di ridurre significativamente l’indice virtuale generato dal Parco sud, ma resta il peso determinante che questa vera e propria riserva di diritti immobiliari ha nella formazione di quello spropositato tetto insediativo di quasi 1.800.000 abitanti di cui si parlava all’inizio. Inoltre, non vi è affatto la sicurezza che parte di questi volumi virtuali non si riversino su aree comprese nel parco Sud. Il ricorso all’articolo 11 della Legge Regionale 11 marzo 2005 n. 12 che riguarda i meccanismi di perequazione e compensazione andrebbe limitato nella città di Milano e nel suo PGT, esclusivamente per garantire un incremento consistente delle aree a servizi pubblici e, nel contempo, per limitare l’eccessiva crescita di volumetrie edificabili. Un capitolo a parte è costituito dalla vicenda Expo 2015, ricompresa quasi marginalmente nel PGT: nulla viene fatto per inserire l’evento in una logica di area Metropolitana. Anzi, l’isolamento dell’area prescelta al confine tra Milano e la Fiera di Rho Pero e gli enormi ritardi rischiano di vanificare i contenuti del tema (nutrire il pianeta, energie per la vita): da un lato si comprimono in una sola area tutte le simulazioni di coltivazioni di tutto il mondo, dall’altro si intacca la sostanza stessa del territorio agricolo consumando suolo invece di riusare le moltissime strutture abbandonate o sottoutilizzate di Milano, comprese quelle della medesima fiera limitrofa. Non si sa neppure se le aree dopo l’evento saranno restituite almeno ad un uso pubblico se non a quello agricolo. L’amministrazione Moratti ha voluto a tutti i costi giungere all’adozione di un piano sbagliato e criticato da ambienti scientifici, di ricerca ed anche dall’Ordine degli Architetti, entro il proprio mandato elettorale. Chi si candida oggi a guidare la città deve essere estraneo a questo Progetto e contrastarlo, già adesso che si apre la battaglia delle osservazioni, con un progetto per Milano alternativo. La valorizzazione di Milano e della sua area urbana, anche rispetto alle scadenze internazionali come Expo 2015, può essere affidata a vari interventi, a condizione che essi contribuiscano a migliorare la percezione delle caratteristiche fondamentali (storiche, monumentali, ambientali) della città e che, soprattutto, lascino un’eredità positiva e utile alla città anche dopo la conclusione dei grandi eventi. Occorre una visione produttiva per la città, completamente trascurata dal PGT, che veda protagoniste le nuove generazioni con la sperimentazione di nuove forme di lavoro come i generatori di impresa, la ricerca scientifica, il rilancio dell’industria collegata al settore sanitario, farmaceutico e alla trasformazione dei prodotti agricoli. Per quanto riguarda il tema dell’acqua, Milano non ha più grandi fiumi che la attraversano, fatta eccezione forse per il fiume Lambro. Uno scopo importante che il PGT può perseguire è quello di riscoprire e ritrovare gli storici tracciati dei Navigli milanesi che ci riportano alla dimensione più nobile e alla tradizione più importante della città, quella delle grandi opere utilitaristiche (i canali e i sistemi irrigui) che hanno caratterizzato un’importantissima pagina della storia d’Italia, con la presenza e l’opera di Leonardo da Vinci. Una proposta alternativa per Milano esiste nella sostanza. Milano ha bisogno di un vero nuovo piano, o meglio di un processo di piano capace di delineare un futuro per la città e i suoi abitanti. ANTONELLO BOATTI Architetto, libero professionista e docente universitario di ruolo II fascia (Professore Associato di Urbanistica alla Facoltà di Architettura e Società del Politecnico di Milano, oltre che membro del Collegio Docenti del Dottorato di Progettazione Paesistica dell’Università degli Studi di Firenze). È inoltre componente della Commissione Provinciale dei Beni Paesaggistici di Milano. Ha orientato da tempo studi e ricerche nel campo della tutela e della promozione dei valori ambientali della città. Ha pubblicato tra l’altro i libri “Un secolo di urbanistica a Milano”, 1986; “Verde e metropoli. Milano e l’Europa”, 1991; “Ripensare l’urbanistica”, 1992; “Parchi e protezione del territorio, 1995, “L’urbanistica tra piano e progetto”, 2001 e “Urbanistica a Milano - Sviluppo urbano, pianificazione e ambiente tra passato e futuro”, 2007. nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 27 Il sistema aeroportuale Spazio Aperto di Paolo Malighetti, Stefano Paleari e Renato Redondi Lo scorso 28 giugno è stato presentato a Milano l’annuale studio realizzato da ICCSAI (International Center for Competitiveness Studies in the Aviation Industry) sulla competitività del trasporto aereo in Europa e in Italia (Fact Book 2010). Lo studio ha mostrato come il settore del trasporto aereo abbia subito in modo particolare gli effetti della recessione mondiale che ha caratterizzato il 2009. La crisi economica ha accelerato i processi di risanamento e razionalizzazione, soprattutto attraverso una maggiore integrazione tra le compagnie aeree a tutti i livelli. Protagonista del mercato in Europa è Lufthansa che ha completato l’acquisizione di Austrian Air, BMI e di SN Brussel, divenendo il primo gruppo in Europa per numero di passeggeri. A ciò si aggiunge la finalizzazione della fusione tra British Airways e Iberia avvenuta a fine 2009. In Italia, non va dimenticata la fusione delle due principali compagnie aeree sul mercato domestico, Alitalia e Airone. Nel 2009 il mercato italiano limita il calo nel volume di passeggeri trasportati al 2,5%, contro un calo medio negli aeroporti europei pari al 6%. I dati del primo semestre del 2010 mostrano chiaramente come l’Italia esca da questo periodo di recessione con volumi e tassi tendenziali di crescita più elevati di altri Paesi dopo la crisi Europei. In termini di passeggeri, nel primo semestre del 2010 si è assistito ad un incremento del 5%, rispetto al primo semestre del 2009. Quest’ottimo risultato è stato ottenuto nonostante la forte contrazione avvenuta ad Aprile del 2010 a causa dell’eruzione del vulcano islandese e del consequenziale blocco generalizzato di tutti i voli, specialmente dagli aeroporti del Nord Italia. In questo senso, il settore del trasporto aereo si configura come un preciso indicatore di ciclo, molto più sensibile ai mutamenti economici rispetto ai più tradizionali indicatori basati sulla produzione industriale o sui risultati economici delle imprese. L’Italia vede riallineati per la prima volta nel 2009-2010 i propri livelli di propensione al volo (misurati come numero di passeggeri sul totale della popolazione residente) a quelli di Francia e Germania, con circa 2 voli all’anno per abitante. Il dato italiano rimane comunque inferiore a quello degli altri Paesi europei parimenti peninsulari o geograficamente periferici, come ad esempio la Spagna. Per l’Italia si segnala, inoltre, una minor propensione al volo soprattutto in riferimento ai voli intercontinentali diretti, come effetto della mancanza di un grande hub intercontinentale analogo a Parigi Charles de Gaulle, Londra Heathrow o Francoforte. Dal punto di vista del pas- Il mercato del trasporto aereo in Italia sembra essere finalmente uscito dalla crisi economica con uno slancio superiore a quello di molti altri mercati Europei, sebbene con alcune preoccupazioni e problematiche di fondo tuttora irrisolte. Una delle più evidenti riguarda la capacità del sistema aeroportuale italiano. seggero, la bassa offerta di voli intercontinentali diretti continua a rappresentare senza dubbio la maggiore carenza dell’offerta di voli dagli aeroporti italiani. I buoni risultati del mercato italiano sono stati conseguiti soprattutto grazie all’ulteriore sviluppo dei vettori low-cost, specialmente Ryanair e easyJet. Basti pensare che, in termini di passeggeri trasportati su rotte domestiche, il vettore irlandese in un solo anno ha visto raddoppiare la propria quota dal 4,3% al 9,7%. La quota di mercato di easyJet sul mercato domestico italiano è invece più che raddoppiata, passando dal 2,7% al 6,9%. Il maggiore vettore sui voli domestici resta Alitalia che, grazie alla fusione con Airone, possiede una quota di oltre il 60%. Se si considerano, invece, tutti i voli in partenza dagli aeroporti italiani, la quota complessiva dei vettori low-cost ha raggiunto nel 2009 oltre il 45%, segnalando la dominanza del mercato low-cost specialmente sui collegamenti europei. Il forte sviluppo dei vettori low-cost, in un momento di recessione economica, è stato favorito dalla strategia di prezzo particolarmente aggressiva di questi vettori che hanno ulteriormente ridotto in maniera sensibile le proprie tariffe rispetto agli anni precedenti. Con riferimento ai risultati degli aeroporti italiani, ben 21 scali mostrano nel 2009 una riduzione del numero di passeggeri, tra cui i due hub di Roma Fiumicino (-4,3%) e Milano Malpensa (-8,7%). A tale proposito, quasi 27 nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 28 S P A Z I O A P E R T O Spazio Aperto 28 tutti gli scali di medie dimensioni a vocazione non tipicamente low cost hanno registrato una contrazione dei volumi. Venezia, rispetto al 2008, torna leggermente sotto la quota dei 7 milioni di passeggeri consentendo a Bergamo di salire al 4° posto. Per quanto attiene la distribuzione geografica, nel corso del 2009, è diminuita di un punto percentuale la quota di traffico in partenza dal Nord Italia e dal centro, mentre migliora la quota relativa del Sud e delle Isole. In generale, gli scali che hanno registrato una crescita del numero di passeggeri sono quelli in cui la penetrazione dei vettori low-cost è risultata più elevata. Molto più negativo è, invece, l’andamento del traffico merci che nel 2009 è calato in Italia del 15%, contro una contrazione del 12,3% a livello europeo. L’andamento annuale mostra come nel 2009 tutte e tre le aree geografiche (Nord, Centro, Sud e Isole) abbiano registrato cali in doppia cifra. Se si considerano i risultati degli ultimi 5 anni, gli aeroporti dell’Italia meridionale sono stati colpiti da un trend fortemente negativo, costantemente caratterizzato da una contrazione del traffico merci per tutto il periodo in esame (in ogni anno il traffico è calato in media del 7,0%). L’Italia è tornata sui livelli di traffico di quasi 10 anni fa, solo parzialmente compensati dai primi positivi mesi del 2010. Appare una debolezza strutturale del sistema Paese sul traffico merci che richiede riflessioni adeguate che consentano al Nord di riprendere i tassi di crescita pre-crisi, ed al Centro-Sud di migliorare progressivamente la propria capacità attrattiva. Nel corso dell’anno è continuata la discussione in merito alla necessità degli aeroporti di stipulare i contratti di programma e di attivare gli investimenti in infrastrutture aeroportuali. Al fine di sbloccare lo stallo che ha caratterizzato la regolazione delle tariffe aeroportuali dal 2000 ad oggi, nella manovra finanziaria del 2009 è stata prevista la possibilità ancora non effettiva di anticipare in tariffa un aumento sino a 3€/passeggero per favorire il rilancio degli investimenti aeroportuali. Nel 2009 il livello medio delle tariffe applicate dai principali scali di Fiumicino e Malpensa è risultato inferiore alla media delle tariffe dei primi 25 aeroporti europei di quasi il 30%. Una delle variabili più importanti per descrivere il rapporto di forza tra le compagnie aeree e gli aeroporti è il grado di “dipendenza” degli aeroporti, definito come la percentuale dei passeggeri trasportati dal maggiore vettore. In generale, un’elevata dipendenza da una sola compagnia fotografa una situazione di maggior rischio in capo all’aeroporto. Da questo punto di vista l’aeroporto di Milano Malpensa mostra un basso livello di dipendenza dalle maggiori compagnie. Nel 2009, la percentuale dell’offerta della prima compagnia, il gruppo Alitalia, è infatti del solo 15%, con easyJet che è il secondo operatore dello scalo milanese con una quota dell’11,4%. A causa dell’effetto congiunto della sempre maggiore concentrazione dei vettori e dell’ulteriore sviluppo dell’offerta low-cost, in molti aeroporti italiani il grado di dipendenza dalle maggiori compagnie è aumentato in maniera significativa. Si sottolinea, ad esempio, la dominanza da parte della compagnia low cost Ryanair, negli aeroporti di Bergamo Orio al Serio e di Pisa, con percentuali dell’offerta pari rispettivamente al 76,2% e al 55,5%. Nel corso del 2009, gli operatori low-cost hanno rafforzato in maniera significativa la propria presenza nelle rispettive basi, soprattutto per effetto della crisi economica che ha penalizzato ulteriormente i vettori tradizionali. Interessante sottolineare anche la situazione dell’aeroporto milanese di Linate dove, se si considera l’offerta congiunta del gruppo Alitalia, la percentuale dell’offerta è quasi del 60%. Lo stesso gruppo Alitalia ha una percentuale significativa dell’offerta (>40%) in molti altri aeroporti come Genova, Brindisi, Olbia, Lamezia Terme, Trieste e Reggio Calabria, oltre che Roma Fiumicino. Tali tendenze rischiano di cambiare i rapporti tra compagnie aeree sempre più grandi e aeroporti con dimensioni economiche molto inferiori il cui traffico dipende spesso dalle politiche di un solo vettore. È auspicabile che la regolazione degli aeroporti tenga nella dovuta considerazione queste mutazioni dei rapporti di forza all’interno del settore. In sintesi, il mercato del trasporto aereo in Italia sembra essere finalmente uscito dalla crisi economica con uno slancio superiore a quello di molti altri mercati Europei, sebbene con alcune preoccupazioni e problematiche di fondo tuttora irrisolte. Una delle più evidenti riguarda la capacità del sistema aeroportuale italiano. La crisi del 2009, venuta dopo quasi un decennio di costante crescita del volume di passeggeri trasportati, ha ridotto la pressione sul lato dell’adeguamento delle strutture aeroportuali. Tuttavia, le più recenti previsioni di crescita al 2020 per l’Italia, anche negli scenari meno favorevoli, vedono un incremento di traffico compreso tra il 30% e 40% rispetto ai livelli del 2009. Affinché il mercato italiano sia pronto a sfruttare appieno questa grande potenzialità di crescita, è necessario facilitare il reperimento di risorse finanziarie per gli investimenti e adeguare di conseguenza la regolazione aeroportuale. Solo così si potrà garantire lo sviluppo del settore non solo in termini quantitativi, ma anche rispettando standard minimi di servizio ai passeggeri. PAOLO MALIGHETTI Ricercatore in “Air Transport management” all’Università degli Studi di Bergamo. Ho ottenuto il dottorato di ricerca in “Technology management” presso l’Università degli Studi di Bergamo. Ha sostenuto un periodo di Visiting presso l’Air Transport Department alla Cranfield University. Collabora con ICCSAI nella stesura del fact book e nell’analisi della regolazione tariffe aeroportuali. STEFANO PALEARI Rettore dell’Università degli Studi di Bergamo nella quale ricopre il ruolo di Professore Ordinario di Economia ed Organizzazione Aziendale. Direttore scientifico di ICCSAI. Esaminatore esterno per il Master in “Air Transport Management” del dipartimento di Air Transport della Cranfield University, UK. Airneth Academic Fellow e membro del comitato scientifico del centro di ricerca Airneth, Olanda. RENATO REDONDI Professore associato presso la facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Brescia. Ho ottenuto il dottorato di ricerca in Ingegneria Gestionale presso in Politecnico di Milano. Direttore del comitato scientifico di ICCSAI, di cui cura la redazione dell’annuale fact book sul trasporto aereo in Europa. nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 29 La Tangenziale Est Esterna di Milano Spazio Aperto di Fabio Terragni La progettazione delle infrastrutture come occasione di sviluppo, flessibili e compatibili con il territorio, è la sfida ottimale in una visione di sistema che tenga conto di una pluralità di fattori: infrastrutturali, industriali, ambientali. La Tangenziale Est Esterna di Milano è una bretella autostradale di 32 chilometri destinata a collegare l’A1, all’altezza del casello di Melegnano, all’A4, all’altezza di Caponago/Cambiago. La nuova Autostrada metterà in relazione tra loro importantissime arterie di collegamento tra Milano e l’est milanese come la Padana Superiore, la Cassanese, la Rivoltana, la Paullese e la Via Emilia. Inoltre, l’infrastruttura metterà in diretta connessione tra loro centri importanti dell’est milanese come Agrate, Gorgonzola, Melzo, Paullo e Melegnano (permettendo lo scambio intermodale con le metropolitane 2 a Gorgonzola e 3 nella futura stazione di Paullo, oltre all’interconnessione con le linee ferroviarie Milano-Venezia a Melzo e Milano-Bologna a Melegnano) e, soprattutto, rappresenterà la gronda di distribuzione del traffico in ingresso e in uscita dalla Brebemi, la nuova autostrada di collegamento tra Milano, Bergamo e Brescia. Sono, inoltre, previsti sei svincoli/caselli (Pessano con Bornago, Gessate, Pozzuolo Martesana, Paullo, Vizzolo Predabissi e Liscate). Sarà un’autostrada a pedaggio con tre corsie per senso di marcia e sarà percorsa da un traffico medio giornaliero stimato in circa 75.000 veicoli. Per la realizzazione della stessa è necessario un investimento di 1.578 milioni di Euro. Si opererà attraverso la logica della “finanza di progetto”, senza alcun esborso di soldi pubblici, in quanto le risorse finanziarie necessarie saranno garantite interamente dai privati. Toccherà a Tangenziale Esterna SPA, la Società Concessionaria, ricercare sul mercato i capitali per realizzare l’opera. Per definire non solo le condizioni di condivisione dell’opera autostradale ma anche gli interventi generali di miglioramento della mobilità nel territorio interessato, la Regione Lombardia ha promosso un “Accordo di Programma” che è stato siglato il 5 novembre 2007 ed ha avuto come primi esiti l’inserimento a carico del futuro concessionario degli oneri relativi alla progettazione e realizzazione del sistema di mobilità complementare (circa 30 Km, quasi quanto i 34 Km del tracciato dell’Autostrada), il rafforzamento delle connessioni e dei nodi di scambio con l’attuale linea 2 della Metropolitana; l’accordo per promuovere (non a carico del concessionario) il prolungamento della MM2 da Cologno a Vimercate e la MM3 da San Donato a Paullo. Grazie ai risultati raggiunti nell’ambito dell’Accordo di Programma, dopo anni di trattative relative alla localizzazione della nuova Tangenziale Esterna – opera peraltro inserita nella Legge Obiettivo e passata nelle competenze del nuovo soggetto concedente regionale CAL (Concessioni Autostradali Lombarde, costituito pariteticamente da Regione Lombardia tramite Infrastrutture Lombarde e ANAS) - finalmente tutti i soggetti istituzionali coinvolti concordano sul progetto. Entro la fine del 2010 sarà completato il Progetto Definitivo, saranno portati a termine tutti i passaggi autorizzativi e nel 2011 saranno avviati i lavori. Entro il 2015 entrerà in funzione l’intera tratta, ma già nel 2013 sarà terminato e portato in esercizio il cosiddetto Arco TEEM, ossia la parte centrale dell’autostrada, necessaria per mettere in collegamento Brebemi con le due principali strade provinciali (S.P. 14 “Rivoltana” e S.P. 103 “Cassanese”) che entrano in città. La nuova infrastruttura si inserisce, quindi, in un quadro più ampio di potenziamento della grande viabilità di Milano e della Lombardia, con progetti ormai definiti e finanziati e prossimi all’effettiva realizzazione, come Brebemi, Pedemontana e il completamento della Rho-Monza. Da tanti anni il sistema delle relazioni (e quindi degli spostamenti) nella regione milanese è molto cambiato, almeno a partire dalla fine degli anni’70. Oggi le fasce orarie dette “di punta” si sono molto dilatate. Capita di frequente a tutti noi di muoverci più volte nell’arco di una sola giornata e in diverse direzioni, sempre più spesso verso destinazioni che una volta sarebbero state considerate “non centrali”. E così capita alle merci, che si spostano di fabbrica in fabbrica, di centro logistico in centro di distribuzione, senza necessariamente dover finire nel ”centro città”. Basti pensare che circa il 60% dei container che entrano ogni giorno in Lombardia gravitano sulle tangenziali di Milano; se venissero messi in fila uno dietro l’altro arriverebbero ad una lunghezza di 30 km. 1.476 imprese, 6,8 miliardi di euro di fatturato, un terzo del totale italiano di settore, e 93 milioni di tonnellate di merci movimentate all’anno: sono alcuni dei numeri della logistica della regione milanese, concentrata soprattutto nell’est Milano. Da una ricerca della Camera di Commercio, emerge l’attuale preferenza per il trasporto su strada, più flessibile, affidabile e meno costoso di quello ferroviario, con il 48% dei flussi logistici internazionali scambiati dalla rete milanese. Inoltre, il passaggio da un sistema delle relazioni dotato di un forte centro attrattore a un sistema reticolare e diffuso sul territorio implica una conseguente ristrutturazione dei sistemi di trasporto e delle infrastrutture viarie e autostradali, che permetta di non dover passare dalla città di Milano, una strozzatura dannosa in termini di congestione del traffico, tempo sprecato e inquinamento (per non parlare dello stress accumulato). Lungo il tracciato della Tangenziale Esterna sono presenti moltissime imprese e altrettante stanno spostando le loro sedi principali proprio in virtù dei vantaggi che saranno offerti da questa infrastruttura. È noto che il territorio ad Est della Provincia di Milano abbia assunto una vocazione non programmata come quella di area elettiva per il settore della logistica. Numerose sono le aziende logistiche che operano in questa zona con picchi di concentrazione nei Comuni di Melzo e Gorgonzola. Il progetto della 29 nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 30 Spazio Aperto PEDEMONTANA LOMBARDA (fine lavori 2015) A51 A4 Agrate Brianza Cambiago Caponago A4 Pozzuolo Martesana VIA PADANA SUPERIORE BREBEMI SP CASSANESE (fine lavori 2013) SP RIVOLTANA LINATE S P A Z I O A P E R T O SP PAULLESE 30 DHL costruisce l’eco-hub A1 Melegnano Cerro al Lambro nuova Autostrada è probabilmente destinato a rinforzare tale tendenza. Quindi, anche una infrastruttura come occasione di sviluppo, flessibile all’insediamento della logistica e tesa ad uno sforzo di compatibilità con il territorio. L’esempio più eclatante è quello del nuovo centro logistico del gruppo DHL che sorgerà a Pozzuolo Martesana e il cui progetto è stato presentato ufficialmente il 30 giugno scorso. L’insediamento sarà ubicato proprio nell’area strategica all’incrocio tra le due nuove grandi arterie regionali in fase di realizzazione: Brebemi e TEEM. Quest’ultima avrà un’uscita proprio a Pozzuolo Martesana, per cui i mezzi potranno raggiungere il nuovo polo DHL direttamente dall’autostrada, senza congestionare il traffico locale. FABIO TERRAGNI Attivo da diversi anni nel settore delle infrastrutture autostradali come Presidente e Amministratore Delegato di Autostrada Pedemontana Lombarda (2007–2009) e Presidente di TEM Tangenziali Esterne Milanesi (2008). Dall’inizio del 2009 è Amministratore Delegato di Tangenziale Esterna SPA, società concessionaria per la progettazione, realizzazione e gestione della Tangenziale Est Esterna di Milano. Laureato in biologia molecolare, in precedenza si era dedicato allo sviluppo territoriale e alle implicazioni etiche, sociali e ambientali dell’innovazione tecnologica. Rispetto dell’ambiente ed ecosostenibilità: queste le linee guida per la realizzazione del nuovo centro logistico di Pozzuolo Martesana che ospiterà gli uffici milanesi di DHL Global Forwarding, Freight, la divisione del Gruppo DHL specializzata nella movimentazione merci via aerea, mare e terra. Il nuovo hub, la cui costruzione è stata avviata ufficialmente il 30 giugno 2010 e che diverrà operativo da gennaio 2012, è stato infatti progettato in modo da ridurre dell’85% le emissioni di CO2, grazie all’utilizzo di tecnologie intelligenti per illuminazione, energia elettrica e riscaldamento, con sensori di movimento, centrali per la raccolta dell’acqua piovana e uso delle acque del sottosuolo per il condizionamento. “Il nostro obiettivo in questo senso”, commenta Antonio Lodi, Vice President Real Estate DHL Global Services, “è di arrivare al 100% della riduzione attraverso la realizzazione di un impianto fotovoltaico, ora in fase di studio, che renderebbe il building completamente ecosostenibile a beneficio dell’intera comunità”. La costruzione del nuovo building “Green” rappresenta l’ideale prosecuzione della strategia del Gruppo Deutsche Post DHL per la salvaguardia dell’ambiente e la riduzione dell’impatto ambientale, denominata appunto “GoGreen”. “Non solo: concentrando le attività delle divisioni Global Forwarding e Freight in un unico hub favoriremo l’intermodalità, ridurremo la circolazione di veicoli tra gli impianti attualmente esistenti, ottimizzeremo le operazioni di ritiro e consegna”, dichiara Alessandro Trapolino, CEO Southern Europe di DHL Global Forwarding. Il nuovo hub concentrerà 500 dipendenti che gestiranno ogni giorno circa 2.000 spedizioni cargo via aerea, mare e terra. L’area totale coperta dalla struttura, pari a undici campi di calcio, ospiterà inoltre un centro operativo dedicato per il settore Fashion, dotato di un impianto automatico a sviluppo verticale per i capi appesi, un’area riservata al cross-docking di prodotti farmaceutici a temperatura controllata e un magazzino refrigerato per i prodotti alimentari. (Roberta Gadina) nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 31 Istanbul 2010 Senza frontiere Di scena la crisi economica “La crisi va fatta pagare a chi l’ha provocata” è stato il motto di questa edizione del Forum Sociale Europeo 2010 e la scelta di Istanbul come sede non è casuale. Dal Forum una risposta globale, forte e decisa, all’attacco del capitalismo liberista contro le classi sociali più deboli, per costruire ovunque le condizioni per strategie politiche e progetti alternativi, basati su un diverso modello economicosociale di sviluppo che metta al centro l’uomo e i suoi bisogni, la sua libertà e dignità individuale e collettiva. della CGIL contro la manovra economica. In questo contesto di crisi, emerge una realtà sindacale turca che è forse agli antipodi del modello tedesco DGB, ma non molto distante da quello che sembra profilarsi come nostro modello futuro, proposto con forza dal governo di centro destra e che grazie all’Accordo separato firmato da Cisl e Uil, potrebbe divenire per noi una realtà, in controtendenza rispetto ai principi della CES. Mi sembra necessario sottolineare alcuni aspetti del sindacato Turco, che mi hanno colpito e che necessitano di soluzioni collettive attraverso il network Europa. Voglio partire dalle origini del sindacato in Turchia, in quanto sono le reticenze del passato ad influenzare il modello sindacale presente. Le prime azioni dei lavoratori turchi, come nel resto dell’Europa, iniziarono nel decen- nio 1870-1880, i primi sindacati nacquero dopo il 1890 ma furono repressi nel 1925. Il primo codice del lavoro fu promulgato nel 1936, sulla base del modello francese ma non riconosceva il diritto di associazione né quello di contrattazione collettiva. La prima legge sindacale del 1947 permetteva al governo di controllare i sindacati, ma non riconosceva il diritto di contrattazione collettiva né quello di sciopero. Nonostante ciò, intorno ai primi anni ’50, si contavano circa 246 sindacati. Nel 1952 i sindacati di vari settori si unirono nella Türkiş ad oggi la maggiore confederazione sindacale, seguita da Hak-iş e Disk. La Türkiş comprende principalmente le confederazioni dei lavoratori dei Trasporti, del settore dei servizi alberghieri e del tessile. Concentra la sua attività su questioni fondamentali, utilizzando gli strumenti delle S E N Z A Dal 28 giugno al 4 luglio 2010 un gruppo di giovani delegati della Cgil Lombardia sono stati protagonisti di un importante appuntamento, frutto dell’11˚ Congresso della Confederazione Europea dei Sindacati. La CES, nel Congresso del 2007 a Siviglia, ha votato a favore dell’adesione della Turchia all’Unione Europea a condizione che essa soddisfi, nella realtà e non sulla carta, i requisiti di adesione e le disposizioni della Carta fondamentale dei diritti Europei. In base a ciò la Ces e le sue organizzazioni affiliate in Turchia e nell’UE, tra queste la Cgil, hanno deciso di accelerare la cooperazione attraverso un progetto ambizioso denominato “Civil Society Dialogue: Bringing together workers from Turkey and the Eu through a shared culture of work”. Tale progetto ha previsto due giornate seminariali preparatorie all’apertura del Social Forum Europeo, che hanno visto a confronto i 4 motori d’Europa: il Baden-Wüttenberg, Rhone-Alpes, la Catalogna e la Lombardia su 3 temi sindacali importanti come i green job, l’organizing e la precarietà. Grande protagonista e cerimoniere del progetto il Koop-is, sindacato turco di categoria del commercio, degli uffici, dell’educazione e delle arti. Lo svolgimento dei seminari, in maniera informale e attraverso il metodo della comparazione e della messa in luce delle proprie esperienze personali, ha contribuito ad arricchire i contenuti, superando le barriere culturali e linguistiche. Il concreto scambio di esperienze è stato reso possibile soprattutto affrontando temi caldi del mondo sindacale e che accomunano tutti come la crisi. Crisi che ha scosso le coscienze di molti lavoratori e dei sindacati europei. Un’ondata di scioperi, proteste e manifestazioni si è estesa in tutta Europa nel corso del 2010. Per citarne alcuni: 8 giugno in Danimarca manifestazione contro i tagli del governo; in Francia il 3 marzo sciopero nazionale; in Germania il 3 Febbraio sciopero del settore pubblico; in Portogallo il 4 marzo sciopero generale del settore pubblico contro il congelamento dei salari; in Italia lo sciopero generale del 25 giugno F R O N T I E R E di Sara Tripodi, Dipartimento Mobilità Filt-Cgil Lombardia 31 nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 32 S E N Z A F R O N T I E R E Senza frontiere 32 lobby e della negoziazione. La storia sindacale turca è caratterizzata da numerosi colpi di stato che hanno in più cicli bandito le organizzazioni sindacali. L’ultimo, del 1980, ha portato a riscrivere le leggi sindacali, alla cancellazione di alcuni sindacati e alla sopravvivenza di altri costretti a un limitato raggio di attività. La nuova politica di governo è improntata sulla privatizzazione e sulla liberalizzazione, in un contesto culturale di bassa coscienza dei propri diritti, di aumento del lavoro nero e minorile. In una situazione in cui è stabilito “in teoria” il diritto a costituire sindacati dei lavoratori, ma dove in pratica il diritto a manifestare, a iscriversi ad un sindacato possono essere limitati per legge per motivi di sicurezza nazionale, come si può parlare di sindacato secondo il significato comunemente attribuito? Dirò di più: nel settore pubblico è stata introdotta nel 2001 una nuova normativa che, di fatto, impedisce lo sciopero, altro che la nostra 146/90! Il tesseramento rappresenta un iter complesso e che diventa ancora più difficile se si è dipendente pubblico (al contrario che in Italia). Per tesserarsi un lavoratore del settore turco deve recarsi da un notaio per autenticare 5 copie del modulo di domanda, che poi è trasmesso al sindacato. Occorre anche inviare una copia del modulo al Ministero del Lavoro e della Sicurezza sociale. La contrattazione collettiva non è riconosciuta per legge. La sua forma più comune, nel settore privato, è quella d’impresa. Un sindacato deve aver raggiunto un livello di adesione di almeno il 10% nel settore industriale interessato e almeno il 50% (+1) sul posto di lavoro per poter avviare un processo molto complicato e burocratico di contrattazione collettiva. Nel settore pubblico non esiste un diritto di contrattazione collettiva in quanto tale, ma un processo che può portare a “un testo di accordo”che viene trasmesso al Consiglio dei Ministri e che approva i regolamenti più appropriati. Per quanto riguarda gli scioperi, essi sono illegali in un gran numero di industrie: per le centrali elettriche, di carbone, gas, nel settore bancario e per i notai. Inoltre, sono illegali in tutte le istituzioni sanitarie, scolastiche e di formazione. Anche nei settori dove lo sciopero è previsto e con le procedure rispettate alla lettera può accadere che lo sciopero sia rinviato per volontà del consiglio dei Ministri perché ritenuto di minaccia alla pubblica sicurezza. Aspetto che mi ricorda i rinvii arbitrari dello sciopero sul contratto della Mobilità in Italia. In questo contesto e con queste premesse, un mondo migliore è possibile? Crediamo di sì grazie allo sforzo della Ces di dare voce alle problematiche del lavoro ed al confronto aperto. Come dice la campagna dei workshop “bisogna andare al contrattacco: attraverso un’Europa sociale, solidale e sostenibile.” Il Social Forum preme per un rafforzamento delle reti tra movimenti locali con un’esplicita apertura ai paesi che confinano con il vecchio continente e che pagano le conseguenze delle sue politiche economiche. “Make them pay for their crisis”, “La crisi va fatta pagare a chi l’ha provocata” è stato il motto di questa edizione del SFE e la scelta di Istanbul come sede non è casuale. Era stata già avanzata, anni fa, con il proposito di allargare il confronto anche ai paesi di destinazione delle delocalizzazioni europee. La Turchia è da questo punto di vista un laboratorio. Qui, solo per citare i casi di due noti marchi italiani, opera il settore automobilistico con la FIAT e l’alta moda con Prada, i cui capi sono prodotti dall’azienda locale Desa in tre stabilimenti che si trovano proprio nei dintorni di Istanbul. I lavoratori della Desa hanno dovuto da tempo subire l’accettazione di un pacchetto stile Pomigliano che prevede molto lavoro, poche tutele e paghe ridotte. Contro la compressione dei propri diritti i lavoratori turchi hanno lanciato una campagna internazionale invitando i lavoratori e i sindacati europei alla stesura di una piattaforma comune. Per fare in modo che non siano i lavoratori a pagare la crisi c’è bisogno di allargare le singole vertenze ad una contrattazione che superi i confini nazionali e quelli europei. Così come Istanbul è il crocevia dei continenti europeo ed asiatico, il SFE di Istanbul ha costruito un ponte ideale e materiale, tra le lotte politiche e sociali d’Europa e di Medio Oriente, Paesi balcanici, Caucaso e Africa del Nord che tenteranno di fare rete nella consapevolezza che i problemi dello sviluppo e delle crisi accomunano tutti i paesi dell’area, come i fatti si incaricano ogni giorno di testimoniare e di dimostrare. L’obiettivo del SFE di Istanbul è stato in definitiva quello di costituire un laboratorio di idee, un momento di scambio di esperienze, elaborazione di progetti e piani convergenti. Un obiettivo che rappresenti una risposta globale forte e decisa all‘attacco del capitalismo liberista, e dei governi che ad esso si ispirano, contro le classi sociali più deboli, per costruire ovunque le condizioni per strategie politiche e progetti alternativi, basati su un diverso modello economico-sociale di sviluppo, che metta al centro l’uomo e i suoi bisogni, la sua libertà effettiva (non solo formale e giuridica) e la sua dignità individuale e collettiva, e non invece il profitto del capitale. I 250 seminari, che si sono susseguiti nelle 4 giornate del Social Forum, si sono concluse con il corteo del 4 luglio, manifestazione di oltre cinquemila persone, conclusosi a piazza Taksim, nel centro di Istanbul. Significativa la partecipazione sindacale – nei seminari e workshop del forum, come alla manifestazione conclusiva - a partire dalle confederazioni turche, Disk, Turk-is, Hak-is, Kesk e con le vistose presenze dei belgi di FGTB e CSC, di IGMetall e Ver.di tedeschi, di CGT e FSU Francia e Comisiones Obreras spagnole e nostra, della CGIL. Importante la presenza della società civile della Turchia e in particolare dei partiti e delle associazioni Curde, a partire dall’organizzazione delle donne. Questo è solo l’inizio della mobilitazione; la stessa CES ha organizzato una risposta collettiva alle scelte dell’Unione Europea e degli stati membri, che culminerà con una grande manifestazione a Bruxelles il 29 settembre. La Ces sosterrà anche la giornata mondiale per il lavoro dignitoso indetta dalla CSI per il 7 ottobre 2010. L’esperienza turca ha arricchito la mia cassetta degli attrezzi, il mio zainetto della conoscenza di nozioni che conserverò con orgoglio ricordando che... anche il viaggio più lungo inizia con il primo passo. nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 33 Un passo altrove Sguardi e traguardi Così è stato per me e per Carmen, abbiamo reso invisibile, volatile, la nostra femminilità. Turni massacranti, impegno fisico e mentale molto gravoso, accettato con entusiasmo e con una resistenza alla fatica e allo stress inconsuete. Perché quello del chirurgo è il più bel lavoro del mondo e per entrambe è stata una grande passione, un grande amore. Pur di tenerlo vivo siamo state disponibili a sacrifici enormi: le nostre rispettive famiglie non hanno mai pesato sul lavoro, le abbiamo occultate, nessuna di noi ha mai reclamato un giorno di permesso per la malattia di un figlio, esattamente come per un chirurgo maschio, perché in primo luogo eravamo chirurghi. Non credo che per noi l’amore per i figli sia stato minore che per altre donne, è che dovevamo/volevamo relegarlo alla sfera del privato, per tenere fede ad una promessa implicita: vi lasciamo entrare, ma dimenticatevi di essere donne. Una prescrizione che è risultata ancora più chiara il giorno in cui ho dovuto annunciare al nostro direttore la mia prima gravidanza, accolta con urla e strepiti e con queste parole: “Tu mi hai tradito”. Io avevo infranto l’implicita promessa di dimenticare di essere donna, dunque non meritavo il privilegio che mi aveva concesso. La maternità è costata a me e a Carmen l’esclusione dalla sala operatoria per mesi, una sorta di espiazione. Comunque, va detto, abbiamo abbondantemente mortificato la nostra femminilità, ma i figli li abbiamo fatti e la famiglia l’abbiamo tenuta in piedi, la sfida l’abbiamo lanciata. E, paradossalmente, questa famiglia che ci avevano venduto come intralcio al S G U A R D I Questo testo nasce da un incontro sul tema del lavoro organizzato dall’Associazione Italiana Donne Medico, sezione di Brescia, cui hanno partecipato le associazioni femminili della Provincia. La necessità di questo incontro emergeva dalla nostra passione per il lavoro e dalla necessità di alcune di noi di sedare un conflitto, di fare dei conti con il lavoro, su ciò che ci ha dato e ciò che ci ha tolto, di interrogare alcune nostre scelte. Abbiamo deciso di farlo a partire da una narrazione, quella della storia mia e di Carmen, entrambe chirurghe perché, seppur molto specifica, la consideriamo paradigmatica. Quando abbiamo cominciato, 30 anni fa, non era comune per una donna scegliere specialità chirurgiche, diciamo che la nostra è stata la prima generazione di donne che si è autorizzata a fare questo passo. “Ti assumo perché sei brava, anche se sei una donna” Queste le parole del nostro direttore, il giorno in cui mi comunicava l’esito del mio concorso di assunzione in Iª Chirurgia all’Ospedale Civile. Un sogno si realizzava, anche se attraverso parole che sapevano di umiliazione, che dicevano quanto l’esser donna connotasse in negativo l’essere che mi era spettato in sorte. Parole che ricordano la battuta di Clint Eastwood nello splendido film Million dollar baby, quando l’allenatore di box, dopo insistenze e suppliche, finalmente decide di allenare Hilary Swank e dice: “Cercherò di dimenticare il fatto che sei una ragazza”. Supplicare, insistere, questa è stata la strada che abbiamo scelto e quando finalmente ci hanno fatte entrare, pena la mortificazione della nostra femminilità, il dover far dimenticare che siamo donne, noi ci siamo sentite grate, perché come loro percepivamo questo ingresso come un privilegio, una concessione, un elevarsi al di sopra della comune condizione femminile, che poteva essere solo mediocre. Le donne sono considerate non affini alla scienza, ad una scienza che si presenta come neutra ma che nei fatti è maschile. Per poterla avvicinare è necessario possedere dei caratteri di eccezionalità che portino “a livello” un femminile mancante. In un bel testo della comunità scientifica femminile Ipazia, fondata da donne scienziate che promuovono un nuovo modo di fare scienza, si legge “Quando il riconoscimento è dato ad una donna è come se fosse sempre accompagnato da un NONOSTANTE, perché la sua presenza non era prevista. Si crea perciò una contraddizione tra la fonte dell’autorevolezza e la persona che ne viene investita... questo spinge molte donne che lavorano in campo scientifico a considerare il valore dato a sé come dato ad un neutro, ed a temere che esso sarebbe diminuito da un collegamento esplicito al loro essere donne” (1). Il nostro femminile è in sostanza un ingombro, di cui noi per prime vogliamo dimenticarci perché non ci venga revocato il privilegio. E Non credo che la scelta sia fra aderire al nostro destino biologico e rifugiarci nel ruolo di madri e mogli oppure mimare il maschile. Credo che la strada stia nel dare visibilità e valore alla differenza, nel mettere la differenza al posto della parità. T R A G U A R D I di Mariagrazia Fontana 33 nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 34 S G U A R D I E T R A G U A R D I Sguardi e traguardi 34 lavoro, ci ha salvate entrambe da deliri di carriera: l’essere madri, con i piedi ben conficcati per terra, attente alle relazioni d’amore, ci ha aiutate a capire ciò che realmente contava. Va anche citata l’autorizzazione materna che nel mio caso è stata fondamentale. Mia madre ha dovuto sudarsi lo studio che per lei non era previsto, attraverso uno sciopero della fame per potersi iscrivere ad una scuola superiore. Nella sua generazione, le donne, anche quelle che appartenevano a famiglie abbienti, non erano destinate allo studio ma unicamente al matrimonio. La sua presa di posizione netta e coraggiosa, la sua scelta di stare nel mondo e non solo in famiglia, ha segnato il mio immaginario e mi ha autorizzata a scegliere il lavoro che amavo, un lavoro che è stato centrale nella mia vita, in cui ho investito moltissimo. Ovviamente questo enorme investimento non è stato gratuito. È un’atavica abilità femminile quella dell’unire invece che separare. È un grande sogno il nostro di volere tutto, sostenuto dalla passione e dal desiderio di essere nel mondo. Dunque non credo che il problema stia nelle propensioni scientifiche delle donne. Sia io che Carmen abbiamo all’attivo 2 specialità chirurgiche, insegnamento universitario, quasi 30 anni di chirurgia sul campo, anche con ruoli dirigenziali. Ad un certo punto della nostra carriera ci siamo trovate entrambe contemporaneamente, capo reparto di 2 settori del reparto di chirurgia, cosa mai vista che 2 donne dirigessero chirurghi maschi anche più anziani. Alla dirigenza ci siamo arrivate, come molte altre donne, ma non abbiamo voluto restarci. È questo che va interrogato. Le scienziate della comunità Ipazia, ascrivono questa insofferenza non tanto all’oppressione ma alla mancanza di un linguaggio autonomo, una mancanza di simbolico che non permette di avere autorità femminile. In un testo del 1991 della comunità filosofica di Diotima (2) si legge: “La donna non ha un linguaggio suo, ma piuttosto utilizza il linguaggio dell’altro. Essa non si autorappresenta nel linguaggio, ma accoglie con questo le rappresentazioni di lei prodotte dall’uomo. Così la donna parla e pensa e si pensa, ma non a partire da sé”. “Sul piano simbolico l’autorità resta legata al nome del padre, fa corpo con l’ordine simbolico maschile, e quando è un corpo di donna ad essere portatore di autorità, quest’ultima si dà come supplente, continua a riferirsi all’ordine paterno”… “Il nodo dell’autorità femminile renderebbe ragione della difficoltà delle donne a esercitare autorità e ad attribuirla ad altre donne, dello stridore a coniugare l’identità di scienziate con quella di donne. Una sorta di conflitto fra la fedeltà alla comunità scientifica e l’appartenenza sessuale, come se lasciando parlare il nostro femminile si perdesse autorità scientifica, perché l’autorità resta legata al padre”. Il disagio che percepivamo nel lavoro riguardava principalmente 2 temi. La relazione con i pazienti che noi vivevamo in modo diverso dai colleghi maschi. Non si tratta semplicemente di essere gentili, umani con i pazienti, è che per la maggioranza dei colleghi la relazione con il paziente è assolutamente secondaria, sovrastata dalla ricerca di prestigio personale. In un ambiente competitivo come la chirurgia, la lotta è per sé, per il proprio successo, per la propria affermazione, per la carriera. La relazione con il paziente viene dopo. Per noi questa relazione è centrale, è il lavoro, è ciò che attribuisce un senso al gesto tecnico. Difficile stabilire perché per molte donne, anche in altre professioni, sia così, Possiamo appellarci ad una diversità fisiologica, al nostro essere biologicamente predisposte all’accoglienza, a possedere un corpo che diventa due. Non che la carriera ci abbia fatto schifo, riconosco in noi ambizione e bisogno di riconoscimento che considero legittime molle al miglioramento di sé. Ma non come obiettivo primario e non a tutti i costi. E arrivo al secondo disagio, che è quello di dover accettare percorsi di carriera non trasparenti. In chirurgia, come in molte altre professioni altamente qualificate, la carriera è raramente legata alla competenza, alla bravura o al curriculum. Contano molto di più nepotismo, cooptazione, appoggi politici, portaborsismo. Questo è dato per scontato dai colleghi maschi, che lo vivono con disagio, ma lo accettano come regola del gioco. Per noi è stato difficile, direi impossibile ad un certo punto stare a questi patti. Prioritaria invece è stata la relazione fra noi due. Ci siamo trovate di fronte alla scelta se farci la guerra, che è il normale relazionarsi fra colleghi nelle professioni competitive, o provare a sostenerci a vicenda. Abbiamo scelto la seconda opzione e sottolineo che non era certo nell’ordine delle cose. Nel momento in cui vivi il lavoro come affermazione personale, tutti ti sono nemici, perché tutti ti possono fare ombra. Se metti al centro la relazione con il paziente cambi completamente prospettiva e anche la relazione sul posto di lavoro può essere uno strumento per lavorare meglio. E in effetti così è stato. In realtà non si è trattato di una scelta consapevole, diciamo che le cose sono venute così, abbiamo cominciato a condividere i pensieri, le perplessità, la stanchezza, l’arrabbiatura, la sofferenza che si provava di fronte al dolore. E questa condivisione è diventata sostegno quando una delle due non ce la faceva, quando prevaleva lo sconforto, quando si andava allo scontro. È stata inconsapevole produzione di pensiero femminile nel momento in cui inventavamo strategie cliniche o progetti di studio. In quel contesto di relazione, una volta che ci siamo dimostrate che quel lavoro lo sapevamo fare e ci è stato riconosciuto, abbiamo realizzato che il nostro desiderio non era la parità, non era essere come loro. Ci sentivamo estranee, quel modo di lavorare non ci corrispondeva, la libertà femminile era altro, noi lavoravamo in altro modo. Non avevamo davanti a noi modelli femminili di riferimento che legittimassero questa diversità, noi eravamo modello per le colleghe giovani e per le studentesse. Abbiamo fatto di tutto per modificare il contesto, per piegare le regole del gioco, ci siamo impegnate in questo tentativo per più di 20 anni e in parte, per ciò che competeva noi, qualcosa è cambiato. Una pratica diversa si è sperimentata e si è resa visibile, il nostro sforzo era davanti agli occhi di tutti, colleghi, pazienti e studenti. Ma il contesto solo questo concedeva, la testimonianza individuale, non di più. Pur essendo convinte che la relazione fra il cambiamento di sé e il cambiamento del mondo è strettissima, abbiamo dovuto realizzare che ci voleva ben altro per cambiare la chirurgia. Ci si è chiarito che quel contesto, quello della gara con il maschio, non era fecondo, era per noi paralizzante, che non avevo tempo da perdere in fatica sterile perché quel contesto nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 35 Sguardi e traguardi non lo avremmo trasformato, non c’era spostamento possibile. C’era un’integrità da difendere, una pratica da affermare, incompatibile con quelle rigidità che producevano solitudine e che premiavano talenti che non mi appartenevano. Quell’inadeguatezza, quella mancanza di significato nel nostro essere donne non le sentivamo più, sentivamo di non poterci più appiattire su un modello non nostro perché c’era altro che doveva essere lasciato vivere ed agire. In questa nostra relazione è maturata la scelta di abbandonare la chirurgia. Scelta molto dura e sofferta, ma l’unica che ci consentisse di restare intere, di restare fedeli a noi, a come siamo fatte, di sopravvivere senza farci stritolare e soprattutto di non legittimare uno stile di lavoro che non riuscivamo a modificare. Non era una discriminazione quella che pativamo, lì c’eravamo e con autorevolezza, ma non volevamo restarci a quei patti. Delfina Lusiardi (3) scrive: “Inconsapevoli, ci lasciamo trascinare nel disordine del mondo e spendiamo la nostra energia, la nostra immaginazione e passione, la nostra intelligenza in giochi dove le regole sono già decise in partenza dentro un ordine che si nutre della fecondità femminile senza nemmeno accorgersi dell’alimento che riceve. La divora e basta… E in effetti lì, in quelle istituzioni, siamo entrate in tantissime negli ultimi decenni, ma vediamo che proprio lì è diventato molto faticoso, se non impossibile, per una donna essere culturalmente creativa, spiritualmente feconda. Spesso una donna esaurisce la propria energia nell’inventare strategie di sopravvivenza, nel resistere e proteggersi dai giochi di potere ai quali viene costantemente invitata, nel cercare qualche passaggio perché la sua vitalità creativa possa realmente esprimersi e dare i suoi frutti”. Il nostro non è un passo indietro, è un passo altrove, un voler prendere le distanze, un non voler partecipare, non spartirsi la torta a tutti i costi, perché il nostro obiettivo non è il potere in sé ma caso mai il potere come strumento per fare ciò che ci appassiona. Così a 50 anni suonati ci siamo rimesse in gioco, non abbiamo scelto di dedicarci alla vita privata o di restare a fare flanella in attesa della pensione. Abbiamo investito in nuove imprese professionali, sempre con entusiasmo e passione. Non è stata una passeggiata lasciare la chirurgia dopo tanti anni. Alcune notti mi sogno ancora di essere in sala operatoria e mi sveglio con la sensazione di avere operato realmente. Quando ci capita di parlarne, cioè sempre, entrambe manifestiamo i sintomi della nostalgia di un grande amore finito. È un po’ come quando ci si innamora dell’uomo sbagliato. Sarebbe perfetto se solo non avesse alcune caratteristiche. Allora ci si fa in 4 per modificarlo ma, ovviamente, non cambia e l’unica strada resta quella di lasciarlo per cercare un altro amore. Più facile a dirsi che a farsi! È un cambio di direzione che altre donne faticosamente hanno maturato in altri ambiti. Marina Terragni (4) dice nel suo libro intitolato “La scomparsa delle donne” che “Forse oggi i partiti vogliono le donne più di quanto le donne vogliano i partiti” e riporta l’opinione di Luisa Muraro, docente di filosofia all’università di Verona e fondatrice della comunità filosofica femminile Diotima “In questo momento storico c’è una pressione sulle donne perché si uniscano agli sforzi di credere nelle imprese della buona volontà umana maschile. Ci viene offerta l’integrazione in queste imprese (parlamenti, partiti, eserciti, università, società scientifiche e sportive), alla pari con gli uomini, in cambio di quello che io chiamerei un servizio simbolico. Che consiste nel dare credito a queste imprese spostando su di esse i nostri più grandi desideri”. Continua Terragni “Per adesso la maggioranza di donne continua a non lasciarsi irretire da quello che Muraro definisce “un mediocre possibile”. Non si fidano di quella politica, non ci credono, importa loro poco. Non ci si sente poi così povere per il fatto di non essere lì. Non andrebbero mai a perdere il loro tempo in quei giochi di potere e in quei corridoi. Uno spreco di tempo che è anche “spreco di spirito” come dice Virginia Woolf”. Non credo che la scelta sia fra aderire al nostro destino biologico e rifugiarci nel ruolo di madri e mogli oppure mimare il maschile. Credo che la strada stia nel dare visibilità e valore alla differenza, nel mettere la differenza al posto della parità. È una strada difficile, tutta da inventare, ma a mio avviso è l’unica per la quale valga la pena di impegnare energie. Anche perché se annulliamo la differenza, se ci trasformiamo in una fotocopia del maschio dove finisce l’amore? L’amore è amore per ciò che è diverso da noi e ci attrae. Livellarci ci fa correre il rischio di cancellare il motore del mondo, che non è né la forza né il potere, e noi lo sappiamo bene. BIBLIOGFRAFIA 1234- Ipazia, Autorità scientifica autorità femminile. Editori Riuniti, 1992 Diotima, Il pensiero della differenza sessuale, La tartaruga edizioni, 1991 D. Lusiardi, Che cosa sa il corpo che io non so? Seminario Madrid 2008 M. Terragni, La scomparsa delle donne, Mondadori 2007 MARIAGRAZIA FONTANA Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1982. Specializzazione in Chirurgia Generale, in Chirurgia Apparato Digerente e Chirurgia Digestiva. Dirigente Medico presso l’Unità Operativa di I Chirurgia Generale dal 1986 al 2007. Dirigente Medico presso Dipartimento Emergenza Ospedale Civile di Brescia. Ha rivestito per anni il ruolo di Professore a contratto presso il Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia dell’Università di Brescia, presso la Scuola di Specializzazione in Chirurgia dell’apparato digerente e presso il corso di laurea per ostetriche. Presidente Associazione Italiana Donne Medico sezione Brescia. Responsabile del progetto di “Accoglienza delle donne che hanno subito violenza” per l’Ospedale Civile di Brescia dalla sua istituzione. (Un suo precedente articolo su NOSTOP n. 58 - Marzo 2008). 35 nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 36 Femminista sarà lei Sguardi e traguardi S G U A R D I E T R A G U A R D I di Mariangela Mianiti 36 La parola femminista è passata di moda al punto che persino la rivista Via Dogana, sul numero 93 del giugno 2010, titolava in copertina “Bello o brutto, il suo nome è femminismo”, come a dire che il termine può piacere o non piacere, ma la sostanza è quella e da lì non si può prescindere. Da qualche tempo, la parola femminismo sembra far paura, come se il dichiararsi femminista equivalesse a dire “Sono una testa calda che fa a brandelli gli uomini, vuole il loro scalpo per fargliela pagare a quei bastardi, sono arrabbiatissima proprio”. Basta guardare di tanto in tanto la rincitrullente tivù e prima o poi capita che un/a giornalista chieda a una signora/ina “Lei è femminista?”. Quasi sempre la risposta è: “Nooooo, per carità. Però è giusto che le donne abbiano gli stessi diritti degli uomini”. Viene da pensare che ci sia un po’ di confusione sotto il cielo e per un paio di ragioni. La prima: si tende a identificare il fem- minismo solo con le immagini degli anni Settanta, quando si scendeva in piazza per reclamare diritti, dignità, parità, con manifestazioni dure, urlando magari “L’utero è mio e lo gestisco io”. La seconda: si tende a pensare che i grandi passi fatti dalle donne negli ultimi trent’anni siano spuntati da soli, come una pera su un pero, o per gentile concessione di qualcuno. Sembra che in troppi si siano dimenticati che se le donne oggi hanno molte più possibilità di scelta di prima è grazie al femminismo, cioè al fatto che in tante, alcuni anni fa, si sono arrabbiate e hanno detto Basta! Sarà lapalissiano ricordarlo, ma forse giova, così magari qualcuna prima di dire “Nooooo, io non sono femminista, però ai miei diritti ci tengo” ci pensa su. Resta il fatto che la parola femminista è passata di moda al punto che persino la rivista Via Dogana sul numero 93 del giugno 2010 titolava in copertina “Bello o brutto, il suo nome è femminismo”, come a dire che il termine può piacere o non piacere, ma la sostanza è quella e da lì non si può prescindere. Ora, al di là del velinismo, delle mandrugone d’assalto, dei corpi femminili mercificati, corretti, esibiti, usati dalle proprietarie stesse per fare carriera, farsi notare, ottenere un’inquadratura, un complimento, una parte, un voto, al di là delle cadu- te di gusto e delle amnesie, è innegabile che le donne di oggi vivono molto meglio delle donne di ieri perché oggi possono scegliere. È la possibilità di scegliere che fa la differenza nella vita perché poter scegliere vuol dire essere liberi. Poi si può sbagliare, si può perdere la strada, si può fare confusione o retromarcia, ma lo si è fatto scegliendo e non perché costrette in un percorso obbligato. Pochi mesi fa ho intervistato, per Vanity Fair, Licia Ronzulli, eurodeputata del pdl e così figlialmente legata a Silvio Berlusconi che lo accudì personalmente dopo che fu ferito in piazza Duomo. Licia Ronzulli ha ammesso di sapere pochissimo del femminismo, ma ha aggiunto che non potrebbe mai vivere senza la propria indipendenza economica e di scelta. In sostanza, pratica il femminismo senza quasi conoscerlo. Quando al Circolo della Rosa di Milano si è discusso del numero di via Dogana sul femminismo, Luisa Muraro ha detto che è proprio questo che si voleva ottenere, la possibilità per ogni donna di essere autonoma e poter decidere della propria vita. E poco importa se chi ha raccolto i frutti di quella lotta sa poco o nulla della storia del femminismo, perché contano i fatti. Personalmente sono convinta che una maggiore consapevolezza del perché certe cose sono successe non farebbe male, però è vero che è molto meglio litigare con una donna perché si hanno idee diverse che non poterci proprio litigare causa costrizione al silenzio o sottomissione culturale. A questo proposito, ho un esempio chiarissimo da raccontare: la mia vita e quella di mia madre. Per ragioni anagrafiche ero troppo piccola per poter manifestare con le femministe negli anni Settanta, però abbastanza grande per capire che cosa stava succedendo. Vivevo in provincia di Parma, nella campagna contadina tutta dedita alle mucche, ai campi, ai tortellini in brodo, al culatello e al parmigiano. Le donne lì, compresa mia madre, lavoravano solo in casa, ma il doppio degli uomini. Campi, casa, figli, bucato, cucina, stiraggio, marito, pulizie. Facevano tutto da sole e accettavano le loro incombenze senza fiatare perché a nessuna veniva in mente di lamentarsi e tanto meno di chiedere al consorte di occuparsi dei piatti o di nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 37 Sguardi e traguardi pulire il culo ai figli, figurarsi. Mia madre ci aveva aggiunto anche del suo, nel senso che facendo la sarta cuciva per tutta la famiglia e per il circondario. I clienti la pagavano, mia nonna e mio nonno no. A lei piaceva lavorare, lavorava come una matta e aveva un solo desiderio, andare a vivere in città. Quando marito e genitori avevano deciso di comprare l’osteria, lei timidamente aveva provato a dire che non aveva voglia di seppellirsi in quel buco circondato dai campi, ma non la ascoltarono. Si adattò, strinse i denti, cercò di tirare fuori il meglio dal luogo, costruì relazioni di buon vicinato e di lavoro, fece quattro figli, poi scoppiò. Dopo la tempesta ripeté, meno dolcemente di qualche anno prima, che lei lì non ci voleva più stare, ma il moloch della famiglia le impose ancora una volta la sua scelta. Per un attimo pensò di andarsene portandosi via la prole, ma non aveva più l’energia necessaria e poi all’epoca non si usava e osava mollare il marito, anche perché il divorzio non era ancora legge. Rinunciò. Mia mamma non è stata libera di scegliere, così ha lottato per garantire ai suoi quattro figli la possibilità a lei negata, decidere per se stessi, essere autonomi. In altre parole, ci ha spinto a studiare e tutti, contagiati anche dal rancore che lei portava a quel luogo, ce ne siamo andati lontano. Io sono la sua unica figlia femmina e credo anche per questo di aver sentito prima e più profondamente dei miei fratelli il bisogno della città, che ai miei occhi era e rimane il simbolo della vita libera. In città i vicini non sbirciano da dietro la finestra per controllare a che ora torni a casa, non ti giudicano se esci giorno con un uomo e il giorno dopo con un altro, non ti guardano strano se ti vesti con estro, se ti siedi al bar a leggere il giornale, se torni tardi la sera, se esci da sola o in compagnia, insomma se fai tutte le cose che fanno anche gli uomini. In città la gente tende a pensare alla propria vita piuttosto che a quella degli altri. In città puoi scegliere fra tanti lavori, tanti luoghi, tante amicizie. In città puoi vivere da sola, non sposarti e non fare figli e nessuno si stupisce. Questo pensavo e questo ho trovato. A conti fatti, anche mia madre è stata femminista, il suo aprirci la strada della scelta è stata una grande intuizione femminista. Certo, avesse spaccato qualche piatto in testa a mio padre e ai miei nonni invece di essere remissiva, avrebbe praticato il femminismo anche per se stessa invece che solo per i figli. Peccato, non ha avuto il colpo di genio o il coraggio che invece io ho trovato proprio vedendo le donne manifestare. Dai giornali e dalla televisione arrivavano le immagini e le parole dei cortei, brandelli di richieste, rivendicazioni, al liceo si discuteva, anche la provincia dava i primi segni di cambiamento. Il femminismo era come un’onda che partiva dalle città e portava soprattutto un messaggio che a me diceva “Possiamo essere libere, possiamo parlare, possiamo dire quello che pensiamo, possiamo vivere la vita che vogliamo”. Chi ha conosciuto o visto la costrizione capisce meglio la libertà, per questo sono grata al femminismo, alle femministe e a tutte le donne che hanno lottato anche per me. Ora le cose sono cambiate, le donne sono così padrone di se stesse e del proprio corpo che possono decidere di usarlo come vogliono, fino al paradosso di trasformare quella libertà in una nuova gabbia. Ida Dominijanni su Il Manifesto ha parlato di post femminismo riferendosi alle veline, alle D’Addario e alle Noemi Letizia, un post femminismo che pratica delle sottili connivenze con un certo modo di intendere il rapporto fra corpo, sesso, immagine, desiderio, potere e denaro. Se un tempo le donne si erano ribellate all’ipocrisia e al non detto su corpo, potere e sesso, ora molte cavalcano questa relazione ammiccando nel clima assordante e volgare della tivù e dei media. Secondo Dominijanni, in questo contesto è più complicato e difficile prendere la parola, che è uno degli atti fondativi del femminismo. Come mai è successo tutto ciò? Perché le donne reali sono scomparse dai media? E come se ne può uscire? Luisa Muraro ha scritto su Via Dogana che l’attualità è come un testo da tradurre, con la differenza che noi in quel testo ci siamo in prima persona. Stare nel testo e registrare quello che capita a te è un atto di Signoria vera, un atto che però bisogna imparare a scrivere e ad inserire nel contesto e nel momento giusto. Pensare, scegliere, parlare e agire si può fare sempre meglio e sempre di più. Dall’altra parte, ma anche fra donne, serve ascolto. Sennò finisce che parli da sola, oppure che non si tiene conto di quello che dici. Concludo con un aneddoto segno dei tempi. All’inizio dell’intervista a Licia Ronzulli dichiaravo che, da femminista, mi sono sempre chiesta come faccia una donna del pdl a non sentirsi a disagio di fronte alle battute e agli atteggiamenti sessisti di Berlusconi. In redazione una manina ha lasciato tutto tranne la parola femminista. Forse era troppo lunga. Meglio tagliare. Meglio non connotarsi troppo. Qualcuno potrebbe provare disagio di fronte alla parola femminismo. Credo sia ora di tornare a dire, con orgoglio, io sono femminista. MARIANGELA MIANITI Nata a Parma, vive a Milano da molti anni. Ha lavorato per varie testate giornaliste e attualmente collabora con Vanity Fair e La Repubblica. Ha vinto i premi giornalistici Cronista dell’anno e Maria Grazia Cutuli. Ha pubblicato per DeriveApprodi Una notte da entraineuse. Lavori, consumi, affetti narrati da una reporter infiltrata e il recente La vita Viagra. Uomini, pillole, sesso e relazioni. È socia del Circolo della Rosa di Milano e tiene un blog sul sito www.scrittisumisura.it. 37 nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 38 Sguardi e traguardi La comunicazione pubblica attenta al genere Il progetto MiComunico S G U A R D I E T R A G U A R D I di Carmen Disanto, Centro di Iniziativa Europea (C.d.I.E.) 38 La comunicazione pubblica può svolgere un ruolo importante nel sostenere il cambiamento e la rimozione di pregiudizi e stereotipi legati al sesso, promuove modelli sociali, lavorativi e culturali in cui riconoscersi e verso i quali tendere. La promozione e diffusione della comunicazione in chiave di genere può pertanto svolgere un ruolo fondamentale nell’incentivare la partecipazione femminile alla vita economica, contribuendo a combattere i fattori culturali che rafforzano la segregazione occupazionale di genere. Inoltre, la comunicazione e i servizi promossi in ottica di pari opportunità possono contribuire alla soluzione di problemi di conciliazione dei tempi che gravano in particolare sulle donne. Il progetto Questo è stato il presupposto su cui si è sviluppato il progetto MiComunico, Comunicazione di genere nella provincia di Milano, co-finanziato dalla Regione Lombardia all’interno del bando “Piccoli progetti per grandi idee” e dalla Provincia di Milano assessorato alle Pari opportunità. Si tratta di una piccola iniziativa della durata di 6 mesi che si è conclusa alla fine di giugno 2010. La mission del progetto è quella di potenziare il ruolo della comunicazione delle amministrazioni pubbliche della provincia di Milano per favorire le pari opportunità e ridurre, nello stesso tempo i rischi di utilizzazione di messaggi direttamente o indirettamente discriminatori. La comunicazione in ogni ente riveste un ruolo fondamentale per promuovere un cambiamento culturale contrario alla discriminazione e agli stereotipi di genere, stereotipi oggi giorno alimentati dagli stessi canali comunicazione (in particolare dai Media e dalla televisione). Il progetto coinvolge direttamente i responsabili degli uffici pubblici di comunicazione, sia figure tecniche sia politiche, in tutte le sue fasi. Gli obiettivi che il progetto si è posto sono: 쐌 Rafforzare la comunicazione pubblica nella provincia di Milano 쐌 Mettere in risalto le buone pratiche di comunicazione istituzionale di genere in maniera da facilitare un’azione di benchmarking a livello locale, tenendo in particolare considerazione la comunicazione istituzionale sviluppata dagli enti locali della provincia. 쐌 Combattere gli stereotipi di genere nella comunicazione pubblica. 쐌 Formare e sensibilizzare i responsabili della comunicazione degli enti locali coinvolti sulle strategie di comunicazione anche in chiave di genere. 쐌 Promuovere la conoscenza e la diffusione delle linee guida sulla comunicazione istituzionale di genere già esistenti a livello locale e regionale e promuoverne la loro applicazione. 쐌 Sperimentare dei prodotti di comunicazione a favore delle pari opportunità innovativi e che seguano le linee guida considerate. 쐌 Sensibilizzare l’opinione pubblica e diffondere il progetto su scala provinciale e in seconda battuta nazionale come buona prassi. Il progetto si è rivolto a: 쐌 responsabili della comunicazione della Provincia di Milano e degli Enti locali della provincia coinvolti; 쐌 referenti e responsabili per le politiche di pari opportunità della Provincia di Milano e degli Enti locali della provincia coinvolti; 쐌 operatori della comunicazione con particolare riferimento alle agenzie di comunicazione fornitrici degli enti locali; 쐌 il grande pubblico, vale a dire l’opinione pubblica, intesa in senso globale. L’iniziativa si è sviluppata in quattro macro attività: 1. Ricerca: raccolta e analisi delle buone pratiche in tema di comunicazione istituzionale orientate alle pari opportunità, in particolare di: - campagne di comunicazione istituzionale relative alle politiche promosse dagli enti locali con particolare riferimento alle politiche per il lavoro e di pari opportunità; - azioni di comunicazione dei servizi relativi alla conciliazione, al lavoro, formazione/educazione; 2. Formazione: workshop interattivo di tre giornate rivolto ai responsabili di comunicazione e delle politiche di genere dei comuni della provincia sulle strategie di comunicazione, sull’analisi delle linee guida esistenti sulla comunicazione di genere. 3. Sperimentazione: applicazione delle linee guida di comunicazione in chiave di genere e sviluppo di alcuni prodotti di comunicazione presso alcuni enti locali della provincia di Milano tra cui il sito del progetto www.micomunico.it 4. Diffusione: promozione del progetto e presentazione dei prodotti realizzati al convegno finale che si è tenuto il Giovedì, 24 giugno 2010 presso il Palazzo Isimbardi della Provincia di Milano. Nel sito di MiComunico potete visionare e scaricare i materiali distribuiti durante la formazione, le linee guida e buone prassi sulla comunicazione pubblica attenta al genere, e il Vademecum del linguaggio di genere. I partner coinvolti sono: Centro di Iniziativa Europea (C.d.I.E.) Provincia di Milano, Assessorato alle Pari Opportunità Lega delle Autonomie Locali della Lombardia Comune di Novate Milanese, Assessorato Cultura e Comunicazione La comunicazione pubblica in ottica di pari opportunità Essa svolge una duplice funzione: da una parte promuove e valorizza il ruolo sociale ed economico della donna; dall’altra migliora la qualità e l’efficacia della comunicazione. Comunicare in ottica di genere a livello operativo significa includere alcuni semplici principi nella pianificazione delle attività di comunicazione e di informazione. L’individuazione di tali principi si è basata in linea di massima sui seguenti elementi individuati in altri progetti relativi al tema pari opportunità e comunicazione. La loro adozione contribuisce a ripensare e adeguare all’ottica di pari opportunità strategie e strumenti di comunicazione dell’ente pubblico, individuare a valorizzare il target delle campagne di comunicazione partendo dalla distinzione uomo-donna, rappresentare la complessità legata alla molteplicità dei modelli maschili e femminili nella società e nel lavoro e rispondere in maniera adeguata alle aspettative e ai bisogni dell’utenza. Riportiamo di seguito i più importanti principi per comunicare in ottica di genere, accompagnati da una sintetica spiegazione del loro significato. nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 39 Sguardi e traguardi I PRINCIPI DA APPLICARE ALLE CAMPAGNE E PRODOTTI - Trasversalità di genere (mainstreaming) Per avvicinare le istituzioni ai cittadini e alle cittadine è necessario parlare in maniera trasversale a uomini e donne. Con questo principio, si intende l’adozione dell’ottica delle pari opportunità tra uomo e donna come valore culturale da promuovere e condividere all’interno dell’ente. La prospettiva di genere quindi deve essere presa in considerazione anche tra gli strumenti rivolti anche agli operatori interni. E’ importante inserire nel piano di comunicazione annuale dell’ente le tematiche di pari opportunità, mettendo a fuoco gli obiettivi e prevedendo il target “donna” come trasversale. Infine, le analisi statistiche devono considerare i dati disaggregati per sesso nella lettura delle proiezioni socioeconomiche e di mercato affinché l’analisi sia corretta e spieghi in maniera più precisa i fenomeni sociali considerati. - Equità Per equità si intende l’estensione della promozione di servizi e politiche tradizionalmente rivolti alle donne al target maschile e l’inserimento del target femminile in modo trasversale nei messaggi e nelle campagne. - Complessità La complessità racchiude la rappresentazione diversificata e realistica delle identità di genere evitando il ricorso a modelli semplificati e stereotipati, in coerenza con i modelli sociali emergenti che si discostano sempre più da quelli tradizionali nei quali la donna è relegata a modelli familiari e a ruoli di cura. - Rappresentatività Presenza di modelli che riflettono bisogni e aspettative reali e target emergenti al fine di raggiungere in maniera più efficace i bisogni effettivi. Gli Enti Pubblici hanno a disposizione una serie di strumenti per introdurre la chiave di genere nelle loro attività di comunicazione e informazione. In particolare, essi dispongono degli orientamenti nazionali, europei e internazionali, dell’autodisciplina pubblicitaria, dei diversi codici di condotta implementati a livello nazionale e delle associazioni che si occupano dell’introduzione della chiave di genere nella comunicazione in toto. In questi ultimi anni, sono stati sviluppati alcuni progetti a livello locale, nazionale ed europeo finalizzati a sostenere politiche di genere e a dare un contributo significativo alla diffusione di una comunicazione istituzionale orientata alle pari opportunità. Molti di questi progetti hanno prodotto linee guida o raccomandazioni finalizzate alla diffusione della cultura di genere; oltre che all’aumento della presenza delle donne nel mercato del lavoro, al sostegno della creatività femminile, alla promozione di un nuovo ruolo della donna nella nostra società. Nel 2004, il Progetto Comunico Donna (co-finanziato dal Fondo Sociale Europeo e da Regione Lombardia) ha prodotto le “Linee guida per la comunicazione chiara ed efficace orientata alle pari opportunità”. Nel 2007, Il progetto LEAD (co-finanziato attraverso Interreg IIIC, Capofila Comune di Bari) ha prodotto le “Linee guida europee per la comunicazione orientata al genere”. Inoltre, la Rete Elette Pugliesi con capofila Interprogram ha redatto il “Manuale Comunicazione Istituzionale di genere” (co-finanziato dal Fondo Sociale Europeo Regione Puglia). Il progetto MiComunico ha consentito di far conoscere a un pubblico più ampio di persone che lavorano con diversi ruoli negli Enti locali le tematiche relative alla comunicazione istituzionale e al ruolo che la Pubblica Amministrazione può giocare per promuovere stili di vita orientati alle pari opportunità e alla non discriminazione. È molto importante sottolineare che il tema dell’attenzione a una comunicazione orientata al genere non è più percepito come un ‘requisito formale da rispettare’, ma come un elemento che può migliorare la comunicazione nel suo complesso, stimolando riflessioni e processi innovativi per semplificare e rendere più efficaci i messaggi. Lavorare in rete è la dimensione ideale per potenziare l’efficacia della comunicazione istituzionale, scambiare esperienze, migliorare la qualità della comunicazione, innovare e integrare tutti gli strumenti a disposizione. In quest’ottica la Provincia di Milano, partner del progetto, ha promosso un lavoro di rete con i comuni del territorio che potrebbe essere replicato in altri contesti a livello regionale. Nel dibattito e nelle riflessioni sviluppate nel corso del progetto, si è evidenziata la necessità di conoscere meglio la realtà sociale, i bisogni degli uomini e delle donne che vivono sul territorio milanese sia per poter finalizzare meglio la comunicazione istituzionale, sia per evitare modelli di “comunicazione educativa dall’alto” che non incidono sulla realtà della vita quotidiana delle persone. Esistono numerosi osservatori e centri di ricerca che analizzano la situazione socio economica; sarebbe interessante mettere in relazione i progetti che si occupano di ricerca e quelli che si occupano di comunicazione e favorire l’accessibilità ai dati per favorire la conoscenza del territorio. Dal progetto è emersa, infine, la necessità di monitorare l’efficacia della comunicazione istituzionale per migliorarla in continuazione, semplificarla e finalizzarla meglio consentendo di raggiungere, in un’ottica di equità, tutte le persone. Il sito del progetto può diventare il primo nucleo di un Osservatorio provinciale o regionale sulla comunicazione istituzionale orientata al genere. www.micomunico.it 39 nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 40 Il respiro dell’anima, prima condizione di libertà Sguardi e traguardi S G U A R D I E T R A G U A R D I di Alessandra Macci e Patrizia Melluso 40 Il ritorno in Italia di Luce Irigaray, nel mese di maggio, ha visto la filosofa e psicoanalista impegnata in alcune conferenze. I luoghi scelti Milano e Torino, dove ha presentato il suo ultimo libro: “Il Mistero di Maria” edito dalle Edizioni Paoline. Questo testo prosegue il confronto e il dialogo tra diverse famiglie culturali o religiose. La Irigaray non usa parole come “credenti e non credenti”, “oriente e occidente”. Né intende cadere in un relativismo nichilista, ma rispettare l’apporto di ogni tradizione dell’umanità. Per questo, preferisce interrogare e interrogarsi “sulla via che permette all’umanità di raggiungere il suo compimento”. L’avvicinamento alla tradizione dello yoga, ad esempio, le ha permesso di scoprire aspetti della tradizione cristiana che non avrebbe percepito senza un dialogo “in se stessa” con altre, diverse tradizioni. “Non avrei capito il senso di tali parole – il soffio di Dio e lo Spirito Santo - nella mia propria tradizione” senza una pratica dello yoga, dice Irigaray, ed ancora: “Ricevere qualche luce da altre tradizioni e portarne altre... È così che ho imparato che un amore senza respiro o un respiro senza amore non bastano”. Per la Irigaray, Maria sembra essere una donna che rappresenta una tradizione di saggezza in un mondo di uomini dove il fuoco è spesso predominante e perfino distruttore. Maria riesce a sedare la rabbia di Dio, a trasformare il suo bisogno o desiderio di vendetta in compassione, in amore. È la mediatrice tra Dio e gli umani. È quella che sorride alle loro follie. È il ruolo di una donna che, nella nostra cultura occidentale, rimane ignoto e perfino disprezzato dalla maggior parte di noi. È però complesso e decisivo per il divenire, sia vitale che spirituale, del mondo. Infatti, il respiro dell’anima è la prima condizione della libertà. Ognuno/a deve poter avere la possibilità di respirare insieme ad altri/e questa atmosfera di bellezza e di interiorità. Il respiro, non solo del corpo ma della persona intera, è quella condizione senza la quale non si può accedere ad una vita autentica. Il respiro, quello che insegna Maria, ci introduce alla liberazione dall’egoismo, dalla paura, dal desiderio di guadagno, dalla cecità per farci intravedere, invece, il sorriso, la gentilezza, la gratuità, l’amicizia, il perdono ricevuto e dato, la speranza, la compassione. Questa è solo una delle riflessioni alle quali questo piccolo libro di Irigaray sul mistero di Maria ci può condurre. Un altro tema che la filosofa affronta e che può aprire il nostro sguardo è quello della verginità di Maria, un tema che non rimanda affatto, come è nella visione tradizionale, all’assenza della dimensione sessuale ma, piuttosto, alla necessità di salvaguardarsi, mantenendo un’intimità di sé con sé, per poter assicurare il proprio divenire spirituale e uno scambio spirituale con l’altro, in particolare con l’altro differente. Su questo punto della relazione con l’altro differente, relazione alla quale Irigaray ha dedicato molta della sua produzione soprattutto negli ultimi anni, corre il confine con molta parte del femminismo contemporaneo, sia quello che non si preoccupa di una crescita insieme al maschile, sia del femminismo che continua a porsi obiettivi di emancipazione. Luce Irigaray è consapevole di questa distanza: “di Maria molte donne occidentali, soprattutto intellettuali e femministe pensano molto male”. A loro, fondamentalmente, è rivol- Luce Irigaray, con il suo ultimo libro, “Il mistero di Maria”, prosegue il dialogo tra culture, religioni e tradizioni diverse. to il discorso che Irigaray fa a pagina 55. Alle prime, quelle che non vogliono porsi il problema del due e della costruzione, insieme al maschile, di un mondo diverso dall’attuale, Irigaray dice: guardate che il silenzio di Maria, che la Chiesa interpreta come sottomissione al maschile, in realtà è ciò che “ci può lasciare libere di inventare un futuro a modo nostro”. Alle altre, a coloro che continuano a perseguire il modello dell’emancipazione, Irigaray dice: “Però conviene che questo futuro corrisponda a una fedeltà a noi stesse, a una coltivazione della nostra energia e non a una perdita di forze nell’imitazione di valori che non ci sono appropriati o in rivendicazioni e in conflitti.” Siamo convinte che con questi temi ognuna di noi e il femminismo dovrà continuare a cimentarsi. nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 41 Verso una società egualitaria? Sguardi e traguardi di Franca Clemente Alla Casa Internazionale delle Donne di Roma, sabato 17 luglio, per il Convegno “Matriarcato ed Economia del Dono”, nove studiose e attiviste internazionali hanno condiviso, con le numerose donne presenti, le loro ricerche e il loro contagioso entusiasmo sui temi cari all’ecofemminismo radicale, toccando inevitabilmente tutte le questioni fondanti del pensiero delle donne degli ultimi decenni. È stata così messa in luce, da una parte, la difficoltà di riannodare il filo rosso con il passato, dall’altra la consapevolezza e la speranza che il lavoro di tutte tenga acceso quel piccolo lume che deve divenire faro di speranza per cambiare il buio profondo del patriarcato. Nonostante il clima torrido, la sala “Simonetta Tosi” era stipata all’inverosimile. Sono arrivate con un dono, naturalmente: un pane dalla forma di Dea-madre, cucinato secondo l’antica tradizione del lievito naturale e del forno a legna. Lo avevano usato la mattina per un rituale propiziatorio in onore di Giunone, la dea che, prima della romanizzazione, conservava gli attributi della divinità femminile pagana che il culto assegnava agli avvenimenti della vita delle donne. E il pane è stato condiviso tra le presenti come un rito di unificazione. agito inconsapevolmente, continua ad alimentare e a far vivere la società come nutrimento materno, per un figlio però mostruoso e divoratore della sua stessa madre: lo scambio contro denaro. La mercificazione di tutti i doni inconsapevoli e di quelli di madre-natura sono abilmente deviati dal potere capitalistico e patriarcale per far crescere a dismisura un sistema autofago. È indispensabile gettare luce sul fatto che il dono gratuito, che le donne soprattutto continuano a praticare, è ciò che oggi alimenta l’insaziabile bulimia del capitalismo e che, riconosciuto e individuato, potrà invece finalmente essere liberato e rappresentare un autentico paradigma alternativo. I moderni studi matriarcali. utilizzando metodologie interdisciplinari che vanno dalla storia della cultura e delle religioni, all’antropologia, all’archeologia, al mito, si propongono di ricostruire, partendo dagli studi di Bachofen e Morgan, la conoscenza storica sepolta di società che, dal paleolitico e in parte ancor oggi, ci presentano una visione sociale incentrata sull’egemonia culturale del femminile. Civiltà sacrali in cui il divino immanente conduce all’egualitarismo, alla pace, nonché al rispetto e all’empatia con la Due reti internazionali di donne, studiose e attiviste stanno da anni collaborando per esplorare e far conoscere i loro approcci alternativi alla società patriarcal-capitalista: la rete sugli studi matriarcali e quella sull’economia del dono L’economia del dono, come ci ha ricordato Genevieve Vaughan che ha organizzato l’incontro, ha da sempre accompagnato la nostra specie nelle sue tappe evolutive. L’homo donans viene prima e dopo il sapiens-sapiens, perché è la madre che, insieme al linguaggio, trasmette al bambino la logica che sottende al dono, ovvero la soddisfazione dei bisogni come sua intrinseca modalità di relazione. Il dono, che tutti noi impariamo a praticare prima che le leggi del patriarcato lo confinino nel silenzio, è tuttavia il nostro imprinting e non può essere cancellato, quindi ricompare spontaneamente nella società sebbene travestito da scambio. È il dono che, Natura. Civiltà passate, che possono però darci spunti per una trasformazione della società che adotti regole più accoglienti di convivenza umana. Alcune hanno, infatti, parlato di un presente sconfortante per le donne. La politica neo-liberista della Comunità Europea si è trasformata in una sorta di colonizzazione, solo all’apparenza soffice, ma in realtà molto aggressiva, che sta distruggendo quel sistema di welfare che soprattutto le donne avevano costruito e che, seppur all’interno del sistema capitalistico, permetteva una migliore qualità di vita. È allo studio un progetto che, seguendo la logica aberrante di considerare la donna anziana come un peso per il sistema pensionistico pubblico, la vuol costringere a optare per la devoluzione dei suoi beni in favore delle compagnie di assicurazione in cambio dell’assistenza e della pensione privata. Tutto questo ci fa sentire ormai l’inquietante presenza dei metodi totalitaristi di recente memoria, ma anche dei più antichi roghi, appiccati per coprire di un velo ideologico il ben più reale disegno di appropriazione dei beni delle donne e della terra. Senza parlare poi della famiglia. Più spesso luogo di sofferenza psicologica e di violenza fisica, viene promossa dalla onnipervasiva propaganda statale e religiosa come obiettivo insostituibile della vita delle giovani. La famiglia nucleare è il luogo dove avviene la separazione tra il privato e il pubblico, tra le cose “secondarie”, sessualità, emozionalità, e quelle “importanti” che riguardano la vita della società e la politica. La storia è piena di eroi, guerre, grandi avvenimenti, ma non parla mai dei luoghi della vita quotidiana, quelli che dovrebbero influenzare la politica. Eletta luogo della procreazione e della mediazione tra il bambino e la socie- 41 nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 42 S G U A R D I E T R A G U A R D I Sguardi e traguardi 42 tà, la famiglia è in crisi e se ne dà la colpa alla donna, che ne è il collante. Ma è l’istituzione famiglia che è entrata in crisi, perché sacrifica le donne a non poter vivere liberamente e pienamente l’affettività e la sessualità, slegandole dalla procreazione e dai problemi della sopravvivenza. Cose garantite invece dalla famiglia matrilineare, dove convivono più generazioni di donne, figlie e figli della matriarca, e dove la comunità dei beni assicura un retroterra economico e una protezione affettiva che permette di scegliere liberamente un compagno e potersene liberamente separare senza che i figli ne facciano le spese. Per fortuna la colombiana Angela Dolmetsch ci ha riaperto alla speranza di cambiamento descrivendo, con parole e immagini, un ecovillaggio, Naschira, in cui 88 famiglie condividono i valori materni e l’economia del dono. Un luogo in cui donne e uomini impostano la loro convivenza sulla pace, l’assenza di competitività e la condivisione del lavoro sociale. Un esperimento basato sulla coltivazione della terra e la distribuzione dei beni prodotti con forme di baratto e monete alternative. Un esperimento di cui Angela auspica la replica su larga scala, come contributo per un cambiamento globale. E soprattutto, dovremmo cambiare il modo di rapportarci agli altri. La sudafricana Bernedette Muthier e la filippina Letecia Layson ci hanno parlato dei principi su cui si basa la convivenza delle loro comunità, che hanno resistito in parte alla colonizzazione e dove circolano parole come Coesan, Ubuntu, Capua: parole magiche che esprimono l’interdipendenza e l’interconnessione e che non esistono nel vocabolario dei popoli occidentali civilizzati e civilizzatori. “L’esistenza di una persona avviene attraverso le altre persone”. “Non c’è diritto senza obbligo”. “Il diritto dell’uno non può voler dire rinuncia dell’altro”. Questi sono i principi che portano a ridere di chi tenta di costruire se stesso al di fuori del suo ruolo nella comunità, di chi vuole mettersi in mostra, rinunciando così all’eguaglianza, allo stare insieme, alla sua grande famiglia. Ne ridono, senza alcuna invidia, come di chi fa una scelta sciocca e autolesionista. Sono i “portatori di cultura”, ci dicono, a tenerla viva e a difendere la sua unicità: artisti, musicisti. E in particolare le Babaylan, donne sagge, guaritrici, sciamane, sacerdotesse e insegnanti, custodi della tradizione. Sono i modi di vita e i principi su cui si basavano le antiche civiltà matriarcali. Marguerite Rigoglioso, infine, ci ha sorpreso con l’argomento, tra la storia e il mito, delle nascite verginali. Concepimenti eccezionali, partenogenetici, delle sacerdotesse divine. Sdoppiamenti di dee nella loro figlia divina. Nel mito sono rimaste innumerevoli tracce di dee nate per partenogenesi. Non sappiamo se sia solo un mito. Qualcuna afferma di no. Si tratta comunque di un argomento affascinante e misterioso che il patriarcato ha riletto in chiave di autentici stupri di sacerdotesse, ninfe, vergini e dee da parte di divinità maschili invisibili o trasformate. La lunga storia delle donne necessita di un paziente lavoro di ricostruzione. Possono aiutarci gli innumerevoli ritrovamenti di immagini rituali, le cosiddette “veneri”, in realtà rappresentazioni della divinità del femminile. Nell’evoluzione della loro fattura e delle loro sembianze, ci consegnano tracce innumerevoli della storia delle donne e del ruolo che esse hanno ricoperto. Una storia che si sta riavvicinando e che ci fa pensare che “si può”. Questo convegno ha avuto, in ultima analisi, la funzione di catalizzare esperienze e realtà, seppur diverse, ma orientate intorno ad un progetto di società alternativo a quello presente. Questi incontri fanno emergere prepotentemente il bisogno delle donne di ritrovare la propria identità e il conforto di incontrarsi come migranti in un mondo che non ci appartiene. Il tentativo faticoso di ritrovare un passato dimenticato ma non rimosso. Questi momenti collettivi lasciano la consapevolezza gioiosa di aver ritrovato un tassello mancante di una gigantesca rappresentazione e di aver fatto un altro passo verso la riappropriazione della nostra immagine sbiadita, dei contorni che ci definiscono. Resta sullo sfondo il dolore e la rabbia per essere state espropriate, cancellate, estromesse. E la constatazione che, al crescere della nostra consapevolezza, corrisponda un sempre più duro, perché più subdolo, tentativo di ricacciarci indietro. (Il precedente articolo sugli Studi Matricarcali, a cura della Associazione Armonie, Bologna, è stato pubblicato sul n. 63 di NOSTOP, giugno 2009) nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 43 Sguardi e traguardi Il buon governo di una città si misura anche dagli spazi delle donne Nel corso di questi anni l’associazione Armonie ha rappresentato per molte donne della città di Bologna un luogo di incontro e di scambio di esperienze, oltre che di produzione di attività, saperi e pratiche. Oggi è un’associazione che conta più di 230 socie, di età e provenienza diverse, ha un forte radicamento nel territorio, svolge una funzione culturale ed educativa, offre servizi e promuove progetti in linea con una tradizione di pensiero e di cultura politica femminili. Abbiamo coltivato nel tempo relazioni e scambi con altri gruppi di donne di questa e di altre città – nella convinzione che la mobilitazione e la condivisione delle risorse del fare rete siano condizione essenziale di rafforzamento e di empowerment - nonché buoni rapporti di collaborazione con il Quartiere e i suoi operatori e servizi. Armonie è nata sedici anni fa in seguito ad alcuni casi di stupro perpetrati su donne nella zona Fossolo del quartiere Savena; alcune di noi cominciarono a riunirsi e ad organizzare manifestazioni e fiaccolate. Facemmo richiesta al quartiere e all’amministrazione comunale di una sede, un luogo d’incontro per le donne, per rompere il loro isolamento e con l’intento di movimentare le strade del quartiere, rendendole più Ho conosciuto queste donne, attraverso le loro interessanti iniziative. Mi ha colpito l’entusiasmo, la creatività, la competenza con cui svolgono la loro funzione culturale e sociale. Meritano che sia data visibilità alla loro lotta. Pubblichiamo il loro appello in segno di solidarietà. (V.S.) sicure. Ci fu assegnata una sede in Viale Lenin, poi nell’ex scuola Rodari; infine, a Villa Paradiso, attuale sede. Molte sono le attività che abbiamo svolto in questi anni: dalle molteplici forme di sensibilizzazione sui temi della violenza contro le donne, servizio di accoglienza telefonica, corsi di difesa personale, interventi di public art per ridisegnare spazi al femminile, alla promozione di azioni positive e di buone pratiche di cittadinanza, alla creazione di giardini officinali in scuole e aree condominiali, progetti educativi nelle scuole, interventi per coinvolgere le donne straniere residenti nel quartiere, valorizzando i beni comuni. Vogliamo ricordare anche i numerosi incontri con un approccio di genere dedicati alla salute delle donne, alle nuove economie - sviluppo sostenibile, consumo critico e l’attivazione di un gruppo di acquisto solidale. Così come i convegni sul mito e il culto della Grande Madre e sugli Studi Matriarcali moderni, gli incontri sulla riattivazione della memoria femminile riguardante le concezioni e le pratiche del sacro, i laboratori di scrittura, le pubblicazioni, la sottotitolazione di filmati inediti, il cineforum, la presentazione di libri, i corsi di benessere psico-fisico. Crediamo che il lavoro svolto in questi anni possa essere riconosciuto come un vero e proprio servizio di utilità sociale, di interesse generale, pubblico, e che non possa andare che a vantaggio delle amministrazioni e dell’intera comunità. Tempo, competenze, esperienza, relazioni sociali, partecipazione, responsabilità, buone pratiche sono beni comuni centrali per lo sviluppo della coesione sociale e per i processi di capacitazione individuale e collettiva. Chi avverte l’esigenza di esprimere l’esercizio di cittadinanza dentro lo spazio pubblico, contribuendo a qualificarlo ed ampliarlo, si scontra però con la scarsità di luoghi e mezzi idonei per poter svolgere adeguatamente quel ruolo. Infatti, la sede di Armonie è stata messa a bando e chi lo vincerà dovrà pagare un affitto annuo di 18.000 euro. Il radicamento sul territorio è sempre stato un nostro punto di forza, ma nel bando non se ne fa nemmeno cenno, a differenza di quanto solitamente è avvenuto per i bandi di assegnazione di altri quartieri. E se anche l’esito della presentazione dei nostri progetti fosse positivo, non saremmo in grado di corrispondere quella cifra. Le Armonie si sono sempre sostenute economicamente con il tesseramento annuale delle socie (20 euro), con iniziative di autofinanziamento e donazioni. Alzare il prezzo delle tessere, in un momento di crisi, significherebbe escludere molte donne e, in ogni caso, non risolverebbe il problema. Facciamo appello alla riforma del Titolo V della Costituzione, comma 4 dell’art.118, che recita: “Stato, Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni devono favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività d interesse generale in base al principio di sussidiarietà”. Speriamo che questo principio, che è anche fondamentale principio di libertà e democrazia, sia rispettato. [email protected] http://www.women.it/mailman/listinfo/ sociearmonie ARMONIE ASSOCIAZIONE DI DONNE È nata nel 1994. È iscritta all’albo comunale delle Libere Forme Associative e a quello provinciale delle Associazioni di Promozione Sociale. Tra le sue finalità:· Contrastare il disagio · Sviluppare azioni per il diritto alla sicurezza, al benessere e per la tutela della salute psicofisica · Promuovere l’autodeterminazione · Divulgare la cultura della non violenza e quella patristica · Promuovere la conoscenza dei diritti e favorire l’aggregazione. Per tutte le informazioni su iniziative, convegni, mostre e pubblicazioni: www.women.armonie.it 43 nostop numero 67:nostop numero 61 20-09-2010 13:37 Pagina 44 Bergamo Historic Gran Prix Immagini I M M A G I N I di Franco Mammana “Avete un circuito stradale sublime, superiore a quello tanto rinomato e blasonato di Montecarlo”. Io non sono mai stato a Montecarlo e non ho elementi per avallare un’affermazione così perentoria. Pronunciate però da Tazio Nuvolari, mito eterno e indiscusso della storia dell’automobilismo sportivo e vincitore della prima edizione della “Coppa Città di Bergamo” nel lontano 1935, acquistano certamente un peso e una valenza difficili da confutare. Scenario dell’evento le “Mura Venete”, un imponente baluardo difensivo fatto erigere nella seconda metà del ‘500 dal Senato della Repubblica di Venezia per rafforzare il confine del territorio di terraferma della Serenissima di cui Bergamo costituiva il presidio orientale più estremo ad argine dell’avversato Impero spagnolo che dominava a Milano. Un tempo poste a difesa del primitivo cuore politico-amministrativo della città, la “Berghem de sura” sviluppatasi urbanisticamente su sette colli come Roma, sono oggi un bellissimo percorso ombreggiato da platani e ippocastani che permette di spaziare visivamente sul “nuovo” centro cittadino - la “Berghem de sota” - e la sottostante pianura padana a sud fino ad arrivare alla retrostante catena delle prealpi orobiche a nord. Quattro porte d’accesso con l’effige del Leone di S.Marco, cannoniere, spalti, baluardi, muraglioni imponenti e una fitta rete di cuniculi sotterranei le resero una delle più significative fortezze militari all’avanguardia in quei tempi, ma fortunatamente mai utilizzate per gli scopi bellici per cui erano state concepite. Così, venuto progressivamente meno il loro compito primario, acquisirono fin da metà ‘800 la loro attuale connotazione civile con la realizzazione al loro interno del “viale delle mura”e il consolidamento delle preesistenti attività agricole all’esterno – gli Orti di Bergamo - che tuttora conferiscono loro una bellezza paesaggistica unica. Ma da una storia di possibili conflitti cruenti si passa ad una storia fatta di competizioni sportive ricche di emozioni, dai colpi di cannone al rombo dei motori: in una Italia dove circolavano solo 240.000 automobili, Bergamo si offre per ospitare la prima gara di velocità automobilistica su circuito urbano. E’ il 1935, “Balilla” e “Topolino” sono le prime automobili a diffusione popolare, ma le Alfa Romeo della scuderia Ferrari, le Maserati, le Bugatti, le Mercedes sono già le automobili dei sogni. Circa 3 km di percorso da completare 70 volte per un totale di poco più di 200 km: le cronache dell’epoca parlano di 20.000 spettatori “paganti” e oltre 1500 auto parcheggiate un po’ ovunque. A gareggiare lungo un percorso impegnativo e divertente che alterna curve e rettifili sui quali dare il massimo sfogo alla potenza dei cavalli-motore, nomi oggi sconosciuti ai più ma miti dell’epoca: il grande “Nivola”, il mantovano volante Tazio Nuvolari vincitore della corsa; il suo antagonista di sempre – Achille Varzi – che la leggenda narra abbia corso in incognito; il famoso Carlo Pintacuda, vincitore di un massacrante Giro d’Italia in tre giorni e tre notti; il pilota bergamasco Franco Comotti costretto al ritiro per un guasto meccanico proprio sotto casa sua, e altri pionieri dell’automobilismo sportivo. Poi quasi settant’anni di silenzio fino al settembre 2004 quando, grazie all’impegno del pilota bergamasco Simone Tacconi, la rievocazione di quello storico evento ha riportato con cadenza annuale, sulle antiche Mura Venete, le emozioni di un tempo (http://www.bergamohistoricgranprix.com). Ferrari, Porsche, Alfa Romeo, Lotus, Fiat, Jaguar, Maserati, Bugatti, “semplici” berline, vetture da Gran Premio o da Rally a coprire un arco temporale tra gli anni Venti e i Settanta: una passerella dove si intrecciano curiosità e innovazioni meccaniche, soluzioni estetiche e ricerca tecnologica, passato e futuro. Automobili da leggenda, la cui bellezza e unicità si alterna al design ora raffinato ora aggressivo dei modelli più moderni e specializzati, sono tornate a sfilare e a sfidarsi con i loro piloti-proprietari opportunamente equipaggiati di vestiario d’epoca, fatto di caschetti di cuoio, occhialoni “fantozziani”, giubbini di pelle, tute vintage da meccanico, sotto gli sguardi curiosi, stupiti e affascinati di un pubblico senza età, accorso ancora una volta numeroso a vedere sfrecciare questi bolidi senza tempo. Appuntamento, quindi, al prossimo 29 maggio 2011. E la leggenda continua… NOSTOP RESPONSABILE DI REDAZIONE Vittoria SCORDO GRUPPO DI REDAZIONE Ivan PANZICA Luca STANZIONE PROGETTO GRAFICO ORIGINARIO Armando Artibio FANFONI - RESTYLING URAKEN Graphix Redazione NOSTOP Via S. Gregorio 48 - 20124 Milano Tel. 026715838 Fax 0266987098 [email protected] http://www.filt.lombardia.it Supplemento al n° Settembre/Ottobre 2010 de “Il lavoro nei trasporti” Mensile della FILT-CGIL nazionale Direzione/Amministrazione EDITRICE EDITRASPORTI Via Morgagni 27 - 00161 Roma Iscritto al n°92/82 del Registro Pubblicazioni periodiche del Trib. di Roma il 10/3/82 Testata registrata presso il Registro Nazionale della Stampa Direttore Responsabile Marilisa Monaco Sped. in abb. postale c26 art.20 lett. B art.2 della legge 23/12/96 n° 662 Roma Chiuso in tipografia: 22 settembre 2010 BINE EDITORE - Corso di Porta Vittoria 43, Milano Videoimpaginazione e fotolito PRG Via Gaffurio 2, Milano - [email protected] 44 E R I A Pagina 3 L 11:14 L 20-09-2010 A 7,0.QXD :Layout 1 G COPERTINA 67 colore COPERTINA 67 colore 7,0.QXD :Layout 1 20-09-2010 11:13 Pagina 1 Periodico FILT-CGIL Lombardia Numero 67 HISTORIC GRAND PRIX BERGAMO FILT-CGIL - ottobre 2010 Euro 2.00